1) IL LAGO FUCINO NELL'ANTICHITA' TRA STORIA E MITO

" Allorché giungemmo al valico dovemmo confessare di essere stati ben ripagati dei nostri sforzi dalla vista della bellissima Marsica.
Alla nostra sinistra i bianchi picchi del Velino, alto più di settemila piedi, apparivano oscurati da minacciosi cumuli di nubi, mentre un selvaggio intrico di montagne chiudeva quel lato della scena.
Molto più in giù, nella splendida luce del sole, si stendeva la lunga striscia blu del Lago del Fucino, con la sua bella pianura di boschi e villaggi scintillanti"
.
Questo splendido paesaggio, così come apparve agli occhi stupiti del pittore e diarista inglese Edward Lear, il quale nel 1850 si era recato per esigenze artistiche sulle rive del Fucino, oggi è completamente mutato: le azzurre e limpide acque del lago non esistono più; al loro posto vi è una fertile pianura verde.
Negli acquerelli di Edward Lear il lago appare immobile e quasi disabitato, tuffato tra sponde di canneti, con qualche barca approdata sulla solitudine acquitrinosa di una riva : poco più di un lago morto intriso di malinconia.
Ma anche oggi che il lago non c'è più , lungo la strada tra Avezzano e Luco il fianco della montagna è tutto segnato dall'erosione causata dalle sue ondate nel corso dei millenni ed indica, come in un grafico, il progressivo decrescere del suo livello.
A nord di Avezzano, le Cave di Cesolino mostrano stratificazioni alterne di sabbia e di ghiaia, segno dell'alterno avanzare e ritirarsi delle acque del lago.
La gola dove oggi sorge Capistrello non si spiegherebbe senza pensare all'opera di scavo delle sue acque quando andavano a traboccare nella sottostante valle del Liri.
Ai piedi del monte Velino, la collina morenica di Alba Fucens indica il limite in cui i ghiacciai si scioglievano per rovesciarsi e confondersi con il lago.
Tra Alba e Massa d'Albe, ancora oggi possiamo vedere il letto, singolarmente regolare e profondo, di un fiume preistorico ormai secco dal termine dell'ultima glaciazione ( circa 10.000 a.C.).
In cima al monte Salviano vi sono fossili di conchiglie e di pesci che attestano il livello che il Fucino dovette raggiungere in epoca remota.
Ma il lago ha segnato in maniera profonda anche la storia degli uomini che hanno abitato le sue sponde, a partire dai cavernicoli insediati nelle grotte delle pareti rocciose dei monti che lo circondano; uomini che più tardi scesero a valle per costruirsi villaggi di palafitte, finché non passarono ad insediamenti meno precari che costituirono il nucleo delle città sorte in epoca storica lungo le sue rive .
Il Fucino ha determinato ed accompagnato le condizioni di vita delle popolazioni della Marsica, ne ha imposto gli insediamenti, ne ha influenzato costumi e carattere, ne ha condizionato le scelte economiche e, più tardi, quando è stato prosciugato le passioni e le lotte politiche.                         

La parte pianeggiante della conca marsicana si trova ad un'altitudine media di circa 680 metri s.l.m., mentre i monti che la circondano hanno un'altezza variabile tra i 1.000 ed i 2.000 metri.
Nella zona più depressa della conca, fino a 120 anni fa, era il lago del Fucino la cui superficie media raggiungeva i 140 Km quadrati, essendo il terzo dei laghi italiani, dopo il Garda ed il lago Maggiore, ed il più grande dei laghi appenninici.
Il suo asse maggiore, da N-O a S-E, era di circa 19 Km, quello minore, da N-E a S-O, era di circa 11 Km.
L'altezza media sul livello del mare era di circa 670 m. e la profondità media di circa 20 m.: misure puramente indicative  perché  estremamente variabili con il livello delle acque.

Il regime del lago del Fucino era molto capriccioso e variabile, e lo era da sempre poiché era privo di emissari naturali, mentre veniva alimentato da numerose sorgenti e dai corsi d'acqua di tutta la zona, di cui il maggiore era il fiume  Giovenco ( chiamato Iuvencus in epoca romana e Pitonius dai Marsi ) il quale sfociava nel lago nel territorio di Marruvium.
Da sempre forse no, perché nel Pleistocene, circa 1.800.000 anni fa, il lago era ben più alto, varcava la soglia dell'attuale Cappelle ed occupava anche i Piani Palentini, lambendo le falde del monte Velino.
Allora il fiume Salto ( chiamato Himella in epoca romana ) era il suo emissario naturale, accanto allo stesso fiume Liri  che raggiungeva attraverso la sella alle spalle del monte Salviano.
L'unico sfogo naturale del lago era una serie di inghiottitoi carsici, situati sulla sua sponda occidentale, in una zona attualmente denominata La Petogna.
Erano delle " ponore", cioè meati sotterranei che disperdevano le acque nelle viscere della terra come avviene in ogni lago carsico.
Infatti, fosse il bacino del Fucino originariamente una fossa tettonica o fosse una vallata, è certo che su di esso agì intensamente il carsismo.
Le ponore del Fucino, secondo le testimonianze di Muzio Febonio che descrisse il lago nel XVII° secolo, si estendevano "per oltre due jugeri", vale a dire per 5.000 m. quadrati.
Il saggista inglese Keppel Craven, che visitò la zona del Fucino nel 1837, riferisce che, in tempo di piena, l'acqua del lago formava un vortice spaventoso da cui venivano inghiottiti legni abbandonati, barche, tronchi d'albero, fascine da pesca ed altri corpi galleggianti provocando in questo modo l'ostruzione del canale sotterraneo; la conseguenza immediata era un repentino innalzamento delle acque con disastrose inondazioni dei terreni e dei paesi circostanti.
Erano altresì frequenti le improvvise burrasche del Fucino che si gonfiava paurosamente, spinto dai venti di Tramontana, formando onde altissime.
Il nome moderno La Petogna può essere accostato a quello di Pitonius, il mitico fiume che, si dice, attraversasse il Fucino senza mescolare le sue acque con quelle del lago per poi immergersi nelle viscere della terra e riemergere presso Subiaco per generare la sorgente dell' Aqua Marcia, da cui Roma stessa traeva il suo rifornimento idrico.
Anche Plinio, nella sua Naturalis Historia (II°,106), non nutre alcun dubbio sull'origine della fonte dell'Acqua Marcia : "Vocabatur haec quondam Aufeia, fons autem ipse Pitonia. Oritur in ultimis montibus Pelignorum, transit Marsos et Fucinum lacum, Romam non dubie petens.".Inoltre, osserva in un altro passo che " non sempre le acque dei fiumi si mescolano con il mare e con i laghi, ut in Fucino lacu invectus amnis".
Secondo l'antica religione dei Marsi l'inghiottitoio del Pitonio rappresentava l'accesso all'Ade di cui il Pitonio stesso evocava il ruolo di fiume infernale, attraverso il quale passavano le anime dei defunti.
Quindi, da varie cause derivava la grande incostanza del livello lacustre che, anche in tempi relativamente recenti, portava ad inserire o a cancellare dalle mappe catastali 3.000 ettari di terreno.
Lo storiografo romano Giulio Ossequente, nel suo Liber Prodigiorum (fr. XXXVIII), scrive che sotto il consolato di Marco Emilio e Lucio Ostilio, corrispondente all'anno 137 a.C., il  Fucino  allagò tutt'intorno la pianura per 5.000 miglia romane :"M. Aemilio, L. Hostilio Mancio, coss…Lacus Fucinus per milia passum quinque quoquoversum inundavit".
Fra il 1793 ed il 1816 la profondità del lago, che oscillava mediamente fra i 15 ed i 20 metri, giunse alla quota record di 35,50 metri, tanto che il paese di Ortucchio si ritrovò completamente isolato sulla sua collinetta, trasformata in isola.
Il primo scrittore antico a menzionare il Fucino fu il greco Strabone che, dopo aver localizzato i laghi laziali di Nemi ed Albano, passa ad indicare il lago della Marsica (Geografia,V°,3,13); l'occasione è fornita dalla presenza in quei luoghi della città di Alba Fucens la quale, secondo il geografo greco, è posta nell'entroterra, al confine con i  Marsi, vicino al lago Fucino il quale, per le sue dimensioni, ha la grandezza di un mare.
Strabone accenna anche al fatto che le acque del Fucino subivano delle variazioni di volume, per cui a volte si innalzavano fino a toccare le falde dei monti, a volte si abbassavano a tal punto da lasciare all'asciutto vaste zone, prima paludose, rendendole così fertili per l'agricoltura.
Dalla descrizione di Strabone emergono così le seguenti caratteristiche del lago :
aveva l'aspetto di un mare;
andava soggetto a variazioni di volume, anche se non sempre catastrofiche;
quando si ritirava, lasciava tutt'intorno dei terreni fertili.
Queste caratteristiche del Fucino le troviamo descritte, tutte o in parte, anche in altri scrittori dell'antichità.
Anneo Seneca , nel suo Naturalium Questionium, quando parla delle acque continentali ( De aquis terrestribus ), tratta anche delle acque stagnanti  e correnti e, ad un certo punto dice che :" Nel Fucino i monti circostanti convogliano tutto ciò che la pioggia ha versato, ma in esso esistono grandi e nascoste vene; così, anche quando i torrenti invernali sono defluiti, conserva il suo aspetto".
Il lago, in tal modo, riceve l'acqua versata dalle piogge e d'inverno perde le acque dei torrenti defluenti; ma nello stesso tempo contiene nel suo seno magnae latentesque venae, cioè acque sorgive.
Eppure il Fucino non subisce variazioni evidenti, infatti faciem suam servat; la qual cosa equivale a dire, in sintonia con l'affermazione di Strabone, che il lago subisce di rado  delle variazioni e queste non avvengono palesemente a causa della sua profondità.
In questa affermazione  Strabone è parzialmente in contraddizione  con quanto aveva affermato poco prima a proposito dell'innalzamento e del ritirarsi delle acque del lago.
Un riferimento indiretto alla grandezza del lago ed una allusione più palese si possono cogliere in un frammento di Gneo Gellio, in cui si dice che la città dei Marsi, chiamata Archippe, fondata  da Marsia, duce dei Lidii, fu inghiottita dal lago Fucino : "Gellius auctor est lacu Fucino haustum Marsorum oppidum Archippe, conditum a Marsya duce Lydorum" ( CN.GELLIUS frg.9,I,50 ).
Ora, la scomparsa di questa mitica città dovette verificarsi in uno di quei forti ingrossamenti del lago, cui accennava Strabone.

Muzio Febonio, nel XVI° secolo, nella sua Historiae Marsorum, afferma di aver potuto vedere le rovine di Archippe in un tratto di costa fra Trasacco (Supinum) ed Ortucchio (Ortigia) in una località attualmente chiamata "Arciprete" ed anticamente " Archi petra", cioè pietra antica.
Un altro chiaro riferimento alla grandezza del Fucino ed alla sua somiglianza con un mare, si trova in un passo di Servio a commento dell'Eneide virgiliana.
Servio, seguendo una certa tradizione che vuole Medea venuta in Italia al seguito di Giasone, dopo aver abbandonato i Colchi, dice che " la donna insegnò dei rimedi contro il veleno dei serpenti ad alcuni popoli, chiamati Marrubii, abitanti intorno al grande lago Fucino; quasi prendessero il loro nome dalla parola "mare"  per la grandezza dello specchio d'acqua del lago : "Medea quando relictis Colchis Iasonem secuta est, dicitur ad Italiam pervenisse et populos quosdam circa Fucinum ingentem lacum habitantes, qui Marrubii appellabantur quasi circa mare habitantes propter paludis magnitudinem, docuit remedia contra serpentes" (AENEIDOS, 7, 50).
Ma in questo passo Servio, parlando della sorte delle tre figlie di Eeta, che, lasciata la casa paterna si diressero in tre direzioni diverse, si scosta da quanto afferma Gneo Gellio, il quale dice che Circe andò ad abitare sui monti Circei, Angizia nei boschi intorno al Fucino, dove insegnò agli uomini come liberarsi dai morbi, Medea morta fu sepolta da Giasone a Butroto ed il figlio di questa ebbe il governo dei Marsi.
Invece, secondo un passo di Plinio il Vecchio (NATURALIS HISTORIA,25,2,10-11), i Marsi avrebbero avuto origine dal figlio di Circe e la loro storia sarebbe legata alla herbarum potentia ed al potere sui serpenti.
Evidentemente intorno a queste fabulae ci doveva essere discordanza tra gli antichi autori, se, come in questo caso, i loro pareri erano diversi su nomi di divinità locali e capostipiti.
Virgilio, nei versi dell' Eneide dedicati alla guerra scoppiata tra Turno, re dei Rutuli, ed Enea per prendere in moglie Lavinia, figlia del re Latino, afferma che tra i popoli italici accorsi in soccorso del primo c'era anche un gruppo di Marsi guidati da Umbrone, figlio del re Archippe, il quale, pur essendo fortissimo ed esperto nella cura delle ferite con pozioni magiche, morì  in combattimento e non poté più rivedere le onde limpide e dolci del Fucino :
"… quin et Marruvia venit de gente sacerdos,
fronte super galeam et felici comptus oliva,
Archippi regis missu fortissimus Umbro,
vipereo generi et graviter spirantibus hydris
spargere qui somnos cantuque manuque solebat
mulcebatque iras et morsus arte levabat.
Sed non Dardaniae medicari cuspidis ictum
evaluit, neque eum iuvere in volnera cantus
somniferi et Marsis qaesitae montibus herbae,
te nemus Angitiae, vitrea te Fucinus unda,
te liquidi flevere lacus." ; (ENEIDE, 7, 750-760).

Anche un altro poeta, Silio Italico, sulla scia di Virgilio, ricorda non solo le virtù belliche dei Marsi, ma anche le loro virtù magiche di incantatori di serpenti, così pure Angizia maestra di veleni, di antidoti e di altri incantesimi, come quello di far occultare la luna, di fermare il corso dei fiumi e di far scomparire le selve dai monti; egli ci dice inoltre che Marsia, venuto dalla Frigia, impose il nome alle popolazioni di quei luoghi, e che la capitale di quelle città era Marruvio, il cui nome deriverebbe da Marro.
Per tornare alla natura del Fucino nell'antichità, possiamo aggiungere anche quanto ha scritto Vibio Sequestre su tale argomento; egli parla di un fiume Pitonius, che come abbiamo visto è da identificare con il Giovenco, che scorreva in mezzo al lago dei Marsi così che la sua acqua non si mescolava con quelle del Fucino :

" Pitonius qui per medium lacum Fucinum Marsorum ita decurrit, ut aqua eius non misceatur stagno"                                                              ( VIB. SEQ., frg. 122 ).

Un altro aspetto del Fucino desumibile dai testi degli antichi autori è quello di essere stato paludoso.
Questo rilievo, come altri d'altro canto, è in evidente contrasto con quanto riferito da altri autori, quali Virgilio, Tacito e Strabone, solo per citarne alcuni, i quali ci descrivono lo specchio d'acqua del lago come limpido, azzurro e lucente.
Probabilmente zone di acqua stagnante dovevano esservi in tratti limitati di costa, soprattutto nei periodi di "magra" del lago o nei punti in cui veniva praticata la pesca con la tecnica delle "fascine", in cui lunghi tratti di costa lacustre venivano isolati dal resto del lago con degli sbarramenti di arbusti.
Che ci fossero delle zone paludose è comunque intuibile anche dall'insistenza con cui i Marsi  chiedevano a Roma di intervenire sul loro lago, sia per evitarne le disastrose inondazioni, ma anche per rendere coltivabili i terreni rivieraschi che evidentemente erano acquitrinosi.