4) "EMITTERE FUCINUM LACUM" : IL PROGETTO E L'IMPRESA DI CLAUDIO

Stando al racconto di Svetonio, il primo che si propose di risolvere il problema del  lago del Fucino con un emissario artificiale fu Giulio Cesare.
Egli aveva concepito un vasto programma di lavori pubblici con cui risolvere i problemi più assillanti del suo tempo, come l'approvvigionamento di derrate alimentari della capitale, la ricerca di nuove terre da coltivare e la creazione di nuovi posti di lavoro in cui impiegare la plebe disoccupata di Roma.
Cesare aveva infatti  progettato di costruire un nuovo porto ad Ostia per migliorare i rifornimenti di Roma via mare, di collegare Roma all'Adriatico completando la via Valeria attraverso la Marsica e gli Appennini, di bonificare le Paludi Pontine e di creare un emissario per il Fucino, di tagliare l'Istmo di Corinto in Grecia, sempre per ridurre i tempi dell'approvvigionamento alimentare della capitale.
"………siccare Pomptinas paludes; emittere Fucinum lacum; viam munire a mari Supero per Appennini dorsum ad Tiberim usque; perfodere Isthmum; ……" (G. T. SVETONIO : DE VITA CAESARUM; Caesar, 44 ).
Il suo era un piano politico di ampio respiro che gli avrebbe permesso di far fronte alle più urgenti necessità del momento e di consolidare la sua egemonia politica ed il suo potere personale.
Ma i pugnali dei congiurati impedirono a Cesare di dare seguito a piani tanto ambiziosi.
Il successore, Augusto, continuò, per certi aspetti, la politica di Cesare, ma, da accorto amministratore, non approvava le grandi imprese che avrebbero impegnato a fondo le casse dello Stato; e tra queste c'era appunto la costruzione dell'emissario per il Fucino.
Perciò ai Marsi, che insistentemente lo supplicavano di dare attuazione al progetto di Cesare affinché fosse data una soluzione alle spaventose inondazioni  del Fucino, l'Imperatore oppose sempre un netto rifiuto.
Tiberio ebbe la corretta visione dello stato di progressivo deterioramento della produzione agricola, ormai insufficiente a sfamare Roma e l'Italia, senza il ricorso alle massicce  importazioni di derrate alimentari dalle  più lontane provincie dell'Impero.
Durante il suo regno vi furono una crisi economica ed un'inflazione molto gravi, con un rincaro pauroso dei prezzi dei generi alimentari.
Tuttavia dagli storici antichi non abbiamo alcuna notizia diretta sul Fucino né per Tiberio né  per il breve e nefasto regno di Caligola.
Il 24 gennaio dell'anno 41 d.C. i pretoriani acclamavano Imperatore Claudio (41 – 54 d.C.), nipote di Tiberio e zio di Caligola.
Era un momento particolarmente difficile, di gravi turbolenze politiche e di profonda crisi economica.
I mali di Roma, che Cesare aveva intuito un secolo prima, stavano esplodendo.
Il nuovo Imperatore, con abile mossa politica, si presentò come il continuatore della politica di Cesare, ne riesumò subito i vecchi progetti e ne promise una rapida attuazione; e, tra di essi, c’era anche quello per la costruzione dell’emissario per il Fucino.
La decisione in merito dovette essere rapida; infatti Claudio fu elevato al trono imperiale nel gennaio del 41 d.C.; Tacito pone la cerimonia di inaugurazione dell’emissario nell’anno 52 d.C.; mentre Svetonio precisa che i lavori durarono 11 anni.
Perciò, facendo un semplice calcolo, i lavori dovettero iniziare prima della fine dello stesso anno in cui Claudio era salito al trono, cioè nel 41 d.C..
Ma come fu possibile una decisione così rapida?
L’interessamento personale dell’Imperatore avrà senz’altro accelerato fortemente i tempi, ma la preparazione del progetto per un’impresa così complessa e difficile avrebbe comunque richiesto parecchio tempo, certamente non pochi mesi soltanto.
E’ logico quindi supporre che uno o più progetti fossero stati preparati ed approntati già da tempo, anche nei particolari di maggior rilievo, su iniziativa degli uffici statali e, molto probabilmente, anche per iniziativa di capitalisti ed imprenditori privati, fortemente interessati all’esecuzione dell’opera.
Evidentemente il Fucino da tempo polarizzava le attenzioni e gli interessi dei circoli governativi della Capitale.
Se i lavori furono iniziati nel 41 d.C., si deve necessariamente pensare che fosse riesumato un progetto già pronto in ogni particolare da molto tempo, forse già dall’epoca di Cesare; quindi un progetto vecchio di quasi un secolo.
E’ ragionevole supporre tuttavia che, anche sotto Augusto, siano stati successivamente preparati almeno due progetti; uno da parte dei “privati”, tendente al prosciugamento totale del lago, ed un altro da parte dell’amministrazione pubblica, mirante fondamentalmente alla stabilizzazione del livello delle acque del Fucino, con un suo prosciugamento parziale.
Così, nei primi mesi dell’impero di Claudio, sarà stato sufficiente aggiornare questi progetti già esistenti per renderli esecutivi.
Sicuramente tra i progetti presi in esame per il prosciugamento del Fucino, ce ne sarà stato uno che prevedeva lo scarico delle acque del lago nel fiume Salto (Himella, in epoca romana), invece che nel Liri.
Questa soluzione, apparentemente più semplice poiché non ci sarebbero state montagne da perforare con gallerie, dovette apparire subito irrealizzabile agli ingegneri romani in quanto, data la grande differenza di quota tra il fondo del lago (650 mt s.l.m.) e la zona di Cappelle (705 mt s.l.m.),si sarebbe dovuto scavare un canale collettore immenso, non solo come profondità e larghezza, ma anche come lunghezza, per raggiungere nella valle del Salto una quota almeno pari a quella del fondo del lago, più una maggior differenza per la pendenza necessaria da assegnare al canale.
Sarebbe stato un progetto assolutamente pazzesco!
Senza contare che il Salto, attraverso i fiumi Velino e Nera, è un affluente del Tevere e quindi i romani non avrebbero mai approvato un progetto che poteva esporre l’Urbe al rischio di inondazioni.
Così, appena fu messo a punto il programma di governo del nuovo Imperatore, compresa quindi la costruzione dell’emissario del Fucino, subito un gruppo di privati si offrì di accollarsi le spese ed i rischi dell’impresa, alla sola condizione di avere poi in proprietà le nuove terre prosciugate.
Chi fossero questi “privati” non lo sappiamo; ma non è da escludere che fossero le famiglie patrizie degli stessi Marsi, che già ad Augusto avevano proposto di prosciugare il Fucino a proprie spese.     
Questa offerta di imprenditori privati non deve meravigliare visto che 18 secoli dopo un privato, il Principe Torlonia, fece la sua offerta ed ottenne, prima dal Regno delle Due Sicilie  e poi dal Regno d’Italia, il permesso di prosciugare il Fucino, in cambio della proprietà delle terre sottratte alle acque.
Così, anche nel I° secolo d.C., il prosciugamento del grande lago doveva apparire ai capitalisti, romani o marsi che fossero, come un grosso affare da non lasciarsi sfuggire.
E’ chiaro che tutta la faccenda, vista con l’occhio del privato, doveva prevedere il prosciugamento totale per l’acquisizione della massima estensione possibile di nuove terre fertilissime.
Un affare ancora più vantaggioso deve essere sembrato nel 1850 al Principe Torlonia, perché ormai il “buco” l’avevano già fatto i romani 18 secoli prima e, per giunta, era stato ripulito da pochi anni durante un tentativo, mai portato a termine, di riaprire l’emissario romano da parte del Governo di Napoli: il più, tutto sommato, era fatto!
Così il Principe, che inizialmente aveva sottoscritto il 50% delle azioni della “Compagnia Anonima Napoletana” incaricata dei lavori di prosciugamento, subito dopo ne divenne azionista unico; l’affare si presentava veramente allettante, era meglio non dividerlo con altri!
La stessa terminologia usata da Svetonio, nella sezione del DE VITA CAESARUM dedicata a Claudio, quando descrive i preparativi, ci illumina sulle reali e contrapposte intenzioni dei “privati” e dell’Imperatore.
Infatti l’obiettivo finale dei privati dovevano essere i siccati agri, cioè i terreni prosciugati di cui volevano garantirsi la proprietà e lo sfruttamento con il prosciugamento totale, come poi avrebbe fatto Torlonia.
Invece l’obiettivo principale dell’Imperatore era l’emissarium per regolarizzare il regime del lago; se infatti anche Claudio si fosse proposto di prosciugare tutto il lago, Svetonio avrebbe usato anche per lui il verbo siccare, e non emittere.
Siccare,  infatti, vuol dire “prosciugare”, “seccare”, ed esprime benissimo lo scopo finale dell’offerta dei privati: disposti ad investire grossi capitali ed a correre grossi rischi, essi erano però interessati anche a ricavare il massimo profitto; a questo scopo il loro progetto doveva prevedere  di siccare il Fucino, cioè di prosciugarlo, possibilmente tutto (SVETONIO; DE VITA CAESARUM; Claudius, 20).
Emittere , invece, vuol dire “mandare fuori”, “scolare”; ma qui con il significato tecnico di “costruire un emissario”; Quindi l’emittere Fucinum lacum di Svetonio si deve intendere come “costruire un emissario per il lago del Fucino”(SVETONIO; DE VITA CAESARUM; Caesar, 44; Claudius, 20, 21, 32); in senso più letterale si può tradurre come “dare uno scolo al lago Fucino”, prescindendo però dal risultato, parziale o totale, dello scolo.
Tuttavia, la costruzione dell’emissario era, in ogni caso, il mezzo obbligato ed imprescindibile per risolvere il problema del Fucino, sia che lo si volesse prosciugare per intero o solo in parte, sia che si volesse stabilizzarne semplicemente il livello delle acque.
Vale la pena di ricordare che, riferendoci ai precedenti storici dei laghi di Albano e di Nemi, la costruzione di un emissario fu sempre concepita ed utilizzata dai romani come mezzo per stabilizzare il livello delle acque e non a scopo di prosciugamento totale.
In altri termini gli  uomini di governo di Roma – Cesare, Claudio, Traiano ed Adriano - considerarono l’impresa per la costruzione dell’emissario del Fucino, soprattutto come un’opera di pubblica utilità e non di pura e semplice speculazione; anche se, dato il basso fondale del lago, sarebbe bastato fissare appena pochi metri più in basso l’innesto del canale collettore, per ottenere anche un notevole guadagno in termini di nuovi terreni da coltivare.
A conferma ulteriore della distinzione semantica tra emittere e siccare, c’è un passo di Svetonio estremamente efficace, quando dice che Cesare intendeva siccare Pomptinas paludes et emittere fucinum lacum  (SVETONIO; DE VITA CAESARUM; Caesar; 44): infatti le Paludi Pontine erano acquitrini malsani e dovevano essere prosciugate, mentre il Fucino era un gran lago dal livello variabile e capriccioso, che aveva bisogno solo di un emissario stabilizzatore.

MOTIVAZIONI POLITICHE DELLA DECISIONE DI CLAUDIO

Claudio, uomo colto,  profondo studioso e conoscitore della vita politica di Roma degli ultimi decenni, sicuramente doveva essere al corrente del progetto di Cesare e dei successivi sviluppi di quest’idea.
Egli, Capo dello Stato, vedeva l’opera non a scopo prioritariamente speculativo, bensì, con mentalità romana, come un’opera di interesse pubblico, per giunta concepita dal genio di Cesare.
Così Claudio preferì l’intervento diretto dello Stato.
Ma quali ragioni determinarono infine la scelta e la decisione dell’Imperatore?  
La gloria? L’interesse? O altri motivi?   
Il solito Svetonio afferma che egli lo fece non minus compendii spe, quam gloriae, vale a dire “non meno per la speranza di gloria che di guadagno” (SVETONIO; DE VITA CAESARUM; Claudius; 20).
Certamente lo fece, quindi, per tutti e due i motivi che, dopotutto, erano entrambi validi, giustificati e potevano coesistere.
Del resto, ripromettersi da un’impresa così onerosa anche un guadagno, era senz’altro una cosa legittima e comprensibile; anzi, Claudio si sarebbe mostrato un cattivo amministratore, se non avesse previsto almeno un consistente recupero delle spese gravanti a carico del bilancio dello Stato.
Comprensibile, quindi, se, oltre che a sollevare i Marsi dai danni provocati dalle inondazioni del lago, l’Imperatore volesse ricavare anche un certo recupero delle spese, sotto forma di nuove terre da affittare o da vendere.
Tutto questo appare chiaramente dall’impostazione stessa del progetto, che prevedeva appunto il prosciugamento della fascia più esterna del bacino del lago; altrimenti sarebbe stato sufficiente fissare l’attacco dell’emissario ad una quota un po’ più elevata , per lasciare il lago integro entro i suoi limiti naturali, coincidenti all’incirca con la attuale via Circonfucense..
Un’altra conferma di questa impostazione progettuale ci viene da Dione Cassio il quale afferma che “Claudio volle scaricare nel fiume Liri il lago Fucino dei Marsi, affinché fosse resa coltivabile la terra attorno ad esso” (DIONE CASSIO; STORIA ROMANA; LX, 11, 5).
Ma la ragione più immediata e determinante dovette essere il calcolo politico, se si tengono presenti le circostanze dell’ascesa di Claudio al trono imperiale ed il periodo di fermenti turbolenti e di scontento a tutti i livelli, che avevano portato alla morte violenta del suo predecessora Caligola.
Dall’opera ne sarebbero derivati anche gloria e guadagni, ma queste non dovettero essere né le uniche motivazioni, né le più importanti.
E forse, a togliere ogni indugio ed a far dare  la precedenza all’impresa del Fucino, ci dovette essere una nuova inondazione che spinse i Marsi a richiedere ancora una volta, e con maggior insistenza, l’intervento di Roma.
Abbiamo così, da un lato i Marsi a cui interessava essere liberati dall’incubo e dai danni delle escrescenze del lago, dall’altro l’Imperatore a cui, con una visione più ampia, interessava ricavare dall’onerosa impresa del Fucino anche un utile personale, in termini di gloria, ed un beneficio più generale con il reperimento di nuove fertili terre da coltivare: ed il progetto approvato da Claudio teneva presenti e conciliava tutte queste esigenze!
I Marsi infatti non avevano chiesto che si eliminasse il lago, bensì che si ponesse rimedio alle sue rovinose inondazioni.
Non bisogna dimenticare, infatti, che per i Marsi il Fucino era il Dio Fucino !
Ci sono varie iscrizioni antiche che attestano, appunto, il culto tributato dai Marsi alla Divinità del loro bellissimo ma terribile lago.
Una di queste è la così detta “Iscrizione di Onesimus” :
“ONESIMUS AUG(usti) LIB(ertus) PROC(urator)FECIT.  IMAGINIBUS ET LARIBUS, CULTORIBUS FUCINI”.    (C.I.L., IX,3887)                                                                                                                           
Onesimo era un liberto e procuratore imperiale, addetto alla direzione delle opere di bonifica delle terre sottratte al lago; egli, per accattivarsi la benevolenza delle genti del posto, eresse un altare per i Lari (dell’Imperatore) e per i devoti del Dio Fucino.
L’iscrizione era su una tavoletta in marmo, delle dimensioni di circa 20 x 30 cm, presentava ai quattro angoli dei fori per essere fissata ad un altare e fu rinvenuta nel 1854 nei pressi dell’incile romano durante le fasi preliminari del prosciugamento da parte di Torlonia..
Il testo conferma che, come era nella tradizione di Roma, lo spirito religioso delle popolazioni locali fu tenuto presente ed influenzò la decisione di non commettere il sacrilegio di prosciugare interamente il lago.


Un’altra iscrizione fu rinvenuta nel XVII° secolo, nei pressi dell’inghiottitoio della Petogna, nel luogo ove sorgeva un Tempio al Dio Fucino, tempio che fu demolito nei primi anni dell’era cristiana ed al suo posto venne edificata la Chiesa di S. Vincenzo, tuttora esistente.
L’iscrizione attesta che due personaggi, Gaio Gavio e Gaio Veredio Mesalla, offrirono per riconoscenza “qualcosa” al Dio Fucino:
                                                   “C(aius) GAVIUS. L(ucii) F(ilius).
                                         C(aius) VEREDIUS C(aii) F(ilius) MESALLA.
                           FUCINO V(otum) S(olverunt) L(ubentes) M(erito).  (C.I.L., IX, 3656).


C’è una terza iscrizione, databile alla fine del III° secolo a.C., rinvenuta nel territorio di Supinum ed attualmente conservata  nel Museo dell’Aquila, che faceva parte di un altare dedicato al Dio Fucino da tre personaggi:
                                “ST(atios) STAIEDI(os). V(ibios) SALVIEDI(os).
                            PE(tro) PAGIO(s). FOUGNO ARAM”  (C.I.L., IX, 3847).

Vale a dire: “Stazio Staiedio, Vibio Salviedio e Petro Pagio, al Dio Fucino quest’altare offrono”.


E’ una realtà storica, d’altro canto, che le autorità di Roma, e Claudio in modo particolare, rispettarono sempre i culti di tutte le genti sottomesse, salvo quelli aventi carattere immorale o contrario agli interessi dello Stato.
Perciò il Governo non avrebbe mai forzato la mano contro sentimenti religiosi così innocui, quali potevano essere quelli del culto dei Marsi per la Divinità del loro lago; tanto più che allora i Marsi erano cittadini romani da più di un secolo e quindi, come tali, rispettati e tutelati dalle leggi di Roma.
In definitiva, il progetto di Claudio era la più intelligente ed equilibrata soluzione ai problemi del Fucino: infatti, oltre al vantaggio concreto della eliminazione definitiva dei danni causati dagli straripamenti del lago e la conquista di nuove terre da coltivare, esso realizzava il pieno rispetto della religiosità del popolo marso e faceva salvo anche l’ambiente naturale della conca del Fucino con la conservazione di un ampio bacino lacustre; a tale proposito basti pensare a quali sconvolgimenti climatici ed ambientali produsse 18 secoli più tardi il prosciugamento totale del lago!
Ed è una vera ingiustizia della storia che nessuno degli autori antichi ci abbia tramandato il nome del geniale ingegnere romano che studiò e preparò il progetto della grande impresa di Claudio.
La cosa però non deve meravigliare  perché a Roma, come anche nell’antica Grecia, si proibiva agli artefici di scolpire i loro nomi sulle opere eseguite, il cui merito veniva attribuito agli Imperatori o ai Consoli che avevano finanziato l’impresa.