8) IL COMPIMENTO DEI LAVORI SOTTO ADRIANO

Nell’agosto del 117 d.C. Traiano moriva.
Ma questa volta i lavori non furono interrotti dal successore, come era accaduto dopo Claudio; anzi il successore, Adriano (117 – 138 d.C.), sicuramente continuò l’opera e la portò a termine.
Ce lo attesta esplicitamente il suo biografo Elio Sparziano il quale, elencando le opere compiute  dall’Imperatore, ricorda che:
“Fucinum lacum emisit”. (SPARZIANO; DE VITA HADRIANI; XXII; 12).
Cioè, “(Adriano) dette un emissario al lago del Fucino”.
Sono appena tre parole ma che, in tanta penuria di notizie, costituiscono una tappa fondamentale per capire le vicende di questo lago contro il quale, caso forse unico nella storia, gli uomini si sono accaniti tanto, fino a farlo scomparire.
Dunque dopo la morte di Traiano i lavori nel Fucino continuarono: si tratta ora di capire in che cosa siano consistiti e quali ne siano stati i risultati concreti.
Anche per questo dobbiamo fare riferimento alla descrizione, ai disegni ed alle misurazioni dell’opera romana che i due ingegneri francesi, Brisse  e De Rotrou, eseguirono prima di demolirla con uno zelo degno di miglior causa.
Per comprendere la consistenza dei lavori di Adriano occorre tenere presente l’originale disposizione delle varie strutture dell’Incile claudiano e le sue quote.
In particolare ci interessa ricordare che il dislivello esistente tra il fondo della vasca esagonale e quello della vasca trapezoidale era di 5,48 m. e che il nuovo livello delle acque del lago sarebbe stato determinato, a lavori ultimati, dalla “quota critica” del canale collettore il quale, a sua volta, doveva avere una certa pendenza e raccordarsi all’incile con la quota della prima vasca che incontrava, vale a dire la vasca esagonale.
Invece dall’esame dei resti dell’incile romano, come ci sono stati descritti da Brisse e De Rotrou, risulta che la vasca esagonale era stata messa “fuori servizio” e che il canale collettore era stato abbassato e raccordato all’imbocco della galleria mediante un nuovo tratto di tunnel passante sotto il fondo della vasca esagonale.
In altri termini, risultavano allo stesso livello di quota 11,09 m.: il canale collettore, una nuova vasca di forma ellittica,  il nuovo tunnel posto sotto la vasca esagonale, il fondo della vasca trapezoidale e l’imbocco della galleria sotterranea.
La stessa situazione era stata trovata e descritta dal generale Afan de Rivera nel 1835, all’epoca della sua esplorazione dell’emissario romano.
Chiaramente al primo progetto di Claudio risultano apportate due modifiche fondamentali:
1. Eliminazione della vasca esagonale con collegamento diretto del canale collettore al fondo della vasca trapezoidale;
2. Abbassamento di varie quote per lo scolo delle acque del lago.

Erano due modifiche sostanziali perché avrebbero permesso di abbassare ulteriormente il livello del lago e, quindi, di prosciugare una più ampia fascia periferica dell’alveo del Fucino.
Ma oltre a queste due fondamentali modifiche, ce ne furono altre, meno importanti, ma anche esse interessanti.
Dei due muraglioni laterali dell’avambacino, quello di destra (guardando verso il lago), che nel frattempo doveva essere crollato, fu ricostruito a sagoma curvilinea, mentre quello di sinistra, rimasto intatto, fu solo rinforzato.
Inoltre le loro estremità furono collegate mediante un grosso muro che scavalcava il canale collettore.
La parte terminale del collettore, compresa all’interno dell’avambacino, fu scavata ed approfondita fino a quota 11,09 m. , ma con le fiancate curve, creando così una sorta di piccola vasca di espansione che, dalla sua forma in pianta, fu chiamata vasca ellittica.
Inoltre, in corrispondenza dello scavalco del canale collettore, il nuovo muro terminale aveva, in basso, un’apertura per il passaggio delle acque servita da una nuova saracinesca.
Questa, funzionalmente, non era una quarta saracinesca, in aggiunta alle prime tre del progetto originale di Claudio, bensì sostituiva semplicemente la seconda, posta tra la vasca esagonale e quella trapezoidale, divenuta ormai inutilizzata dopo la messa “fuori servizio” della grande vasca esagonale.
Così, in effetti, le saracinesche “in servizio attivo” erano ancora tre:
- la prima, posta al punto più ristretto dell’avambacino;
- la terza, all’imbocco della galleria sotterranea;
- la nuova, all’entrata della vasca ellittica.
Ma quando furono apportate queste modifiche all’incile?
Come abbiamo visto, con l’intervento di Traiano furono liberati i terreni rivieraschi che erano stati sommersi.
Poi però le acque continuarono a decrescere ritirandosi anche dalla fascia più periferica dell’alveo del lago, secondo il piano previsto dal progetto di Claudio.
Logicamente, allora, si dovette provvedere a portare a compimento anche le varie operazioni complementari di drenaggio e di bonifica delle nuove terre che man mano emergevano; terre che, certamente anche allora come dopo il prosciugamento di Torlonia, dovettero rivelarsi eccezionalmente fertili e produttive.
A quel punto, se già non ci si era pensato prima, apparve evidente che, da un punto di vista economico, sarebbe stato conveniente abbassare ulteriormente il livello del lago per ottenere una maggiore acquisizione di terre: “l’appetito vien mangiando”, dice il proverbio.
Era necessario, però, abbassare il canale collettore!
Unico ostacolo a ciò restava il dislivello tra il fondo della vasca esagonale e quello della vasca trapezoidale; un dislivello (5,48 m) che, ora che le acque del lago si erano ritirate parzialmente, si rivelava inutile, o addirittura dannoso.
Bisognava, quindi, eliminarlo per far decrescere il livello del lago di qualche altro metro e liberare così dalle acque molti altri ettari di terreno.
Del resto non doveva essere poi un’impresa né difficile né dispendiosa, ormai che la maggior parte dei lavori era già stata eseguita, con in più la allettante prospettiva di ottimi risultati economici in tempi piuttosto brevi.
Devono essere stati quelli “il momento” ed “il movente” che fecero maturare agli ingegneri imperiali il proposito di modificare l’originale progetto di Claudio.
Il momento fu, verosimilmente, intorno al 130 d.C., quando cioè ormai dovevano essere arrivati a buon punto i lavori di bonifica per la prima fascia delle nuove terre emerse dalle acque del lago.
Più in basso, però, non si sarebbe potuti andare.
Infatti, una volta scesi alla stessa quota della vasca trapezoidale e del piano d’imbocco della galleria sotto il monte Salviano, sarebbe stato impossibile ritoccare ulteriormente in basso l’emissario; cosa che, di fatto, i romani non tentarono mai.

RISULTATI CONCRETI DELLE MODIFICHE AL PROGETTO DI CLAUDIO

Come abbiamo visto, una volta deciso l’abbassamento a quota m 11,09 di tutto il piano di passaggio delle acque, si costruì un nuovo breve tronco di galleria sotto la vasca esagonale, si approfondì alla stessa quota la gola tra la vasca esagonale e l’avambacino, si scavò la vasca ellittica nell’area dell’avambacino e, dal fondo di essa, si ripartì come quota di riferimento per l’ulteriore approfondimento del canale collettore.
In tal modo la vasca esagonale risultò messa fuori servizio.
Ciò comportava, però, due svantaggi notevoli:
1. L’eliminazione di una grossa vasca per la raccolta e la rimozione dei detriti;
2. Una forte riduzione del sistema di sicurezza con la inutilizzazione della seconda saracinesca posta all’uscita della vasca esagonale.
A questi due inconvenienti si rimediò tuttavia, come abbiamo visto, con la creazione della vasca ellittica e con una nuova saracinesca posta al suo ingresso, dove il nuovo muro, che collegava le estremità delle due ali divergenti dell’avambacino, scavalcava il canale collettore.
Questi furono dunque le modifiche apportate all’incile, ma altre dovevano essere realizzate anche verso l’interno del lago.
Anche per queste ultime dobbiamo fare riferimento ai dati che ci hanno lasciato Brisse e De Rotrou, i quali scrivono:
“Al di là del muro che univa la estremità dell’avambacino, il canale scoperto continuava nel bacino del lago per una lunghezza di 14,75 m., con una larghezza di  5 m nel fondo.
Subito dopo il canale scoperto era interamente puntellato per una lunghezza di 300 m.
I lati ed il fondo si componevano di grossi tavoloni di quercia sostenuti da forti pali, muniti di punte di ferro, conficcati in terra assai profondamente ed a cui erano inchiodati; essi sostenevano le terre della scanalatura.
Al di là dei 300 m, il canale continuava facendo, con la direzione del canale collettore moderno, un angolo di 10° verso nord.
Poi il canale continuava verso il bacino lacustre ed era del pari puntellato per una certa lunghezza, con un pendio dell’1/1.000; ma quando lo si rinvenne di nuovo nei lavori moderni alla distanza di 1096 m dalla testa dell’emissario antico, non era più puntellato, ed il suo fondo era alla quota  di 14,96 m.
Continuava così fino ad una distanza di 4.535,32 m dalla testa dell’emissario, ed incontrava il fondo del bacino lacustre alla quota di 17,623 m.
In particolare la sezione trasversale del canale scoperto poté essere esattamente misurata al punto ove s’è rilevata la quota 14,96; cioè a 1096 m.
Il suo fondo era largo 4,40 m; l’apertura dell’incanalamento alla linea di terra era di 19,64 m.; la profondità era di 7,62 m e la superficie della sezione di 91,592 m2.”.
E’ probabile, inoltre, che i romani, maestri da sempre nella costruzione di  aggeres  sia a scopo militare che civile, abbiano allestito tutt’intorno al lago residuo un argine alto 2 – 3 metri, quel tanto che bastava per non far “vagare” la linea di costa e per fare aumentare un po’ la profondità del lago e renderlo così navigabile anche per barche con un discreto pescaggio.
Infatti la nuova sponda del lago, con un fondale a pendenza molto limitata – valutabile in 1 metro ogni 2 o 3 Km – si sarebbe trovata in una zona in cui anche un piccolo aumento del livello delle acque, per esempio per piogge eccezionali o anche per temporanee chiusure della galleria o del collettore per lavori di manutenzione, avrebbe fatto spostare la battigia di molto, anche di 1 - 2 Km; il che, ovviamente, avrebbe creato nelle zone interessate, condizioni di accessibilità e di coltivabilità veramente precarie a causa del rischio ricorrente di allagamenti e distruzione delle colture.
Descritti così, i lavori fatti eseguire da Adriano non dovettero essere molto impegnativi, soprattutto se li paragoniamo con quelli eseguiti ai tempi di Claudio.
Tuttavia i tempi tecnici di esecuzione dovettero essere piuttosto lunghi per molti motivi.
Per motivi tecnici operativi, a causa del necessario alternarsi di periodo di scolo e periodi di fermo, per far proseguire in avanti ed in profondità lo scavo del canale collettore.
Si tenga presente come termine di paragone, anche se solo indicativo, che per lo scolo completo delle acque ai tempi del “prosciugamento Torlonia” furono necessari 13 anni, dal 9 agosto 1862 al 30 giugno 1875.
C’erano anche ragioni oggettive ambientali, data la melmosità dei terreni man mano abbandonati dall’acqua.
Anche con Torlonia, a distanza di 7 – 8 anni dall’ultimo scolo delle acque, non si era raggiunto ancora l’essiccamento completo delle terre.
Infine ci furono forse anche ragioni di carattere amministrativo poiché, una volta assicurato un efficiente scarico alle acque del lago, non sussistevano più motivi d’urgenza e ciò consentiva di poter alleggerire gli oneri per le finanze pubbliche, con un impiego flessibile della mano d’opera.
C’erano, quindi, diverse ragioni concomitanti che portavano i lavori verso tempi d’esecuzione piuttosto lunghi, dell’ordine di una ventina d’anni.
Per cui, considerando il 130 d.C. come data d’inizio dei lavori, la distribuzione e l’assegnazione delle nuove terre sarà avvenuta intorno al 149 d.C., anno appunto in cui si hanno dati documentati di una nuova centuriazione, vale a dire una distribuzione di terre ai veterani di guerra, nel territorio di Alba Fucens.
Comunque alla morte di Adriano (14 luglio 138 d.C.), almeno il grosso dell’impresa doveva essere stato portato a termine, visto che il suo biografo Elio Sparziano parla dell’Imperatore come di colui che aveva prosciugato il lago del Fucino (Fucinum lacum emisit).
L’assegnazione delle terre fu fatta così dal suo successore, Antonino Pio (138 – 161 d.C.).
Per il passato, qualcuno ipotizzò che Adriano fosse riuscito a prosciugare tutto il Fucino, forse interpretando alla lettera l’affermazione di Sparziano.
E’ un’ipotesi che deve essere rigettata  per varie considerazioni.
La prima è che, non essendo stata abbassata la quota della galleria emissaria – e non era materialmente possibile abbassarla a quel punto dei lavori – risultava tecnicamente impossibile eliminare l’acqua dalla parte più centrale e più profonda del lago, il così detto “bacinetto”.
 

La seconda considerazione deriva dal ritrovamento di alcune iscrizioni che suggeriscono la permanenza di un bacino lacustre, anche se di dimensioni ridotte.
Una di queste è la così detta “Iscrizione di Onesimus”, già ricordata , che fu rinvenuta nel 1854, durante le prime fasi del “prosciugamento Torlonia”, vicino alla testata dell’emissario romano:
“ONESIMUS  AVG(usti)  LIB(ertus)  PROC(urator)  FECIT.
IMAGINIBUS  ET  LARIBUS. CULTORIBUS  FVCINI.”

L’iscrizione riferisce che un tale Onesimus, liberto e  Procuratore imperiale, eresse un altare dedicato ai Lari dell’Imperatore ed ai devoti del Dio Fucino; ora, per esservi ancora dei devoti della Divinità del lago, in quell’epoca sarà ancora esistito necessariamente anche il lago.
L’iscrizione di Onesimus venne datata, da Brisse e De Rotrou, intorno alla metà del IV° secolo, all’epoca dell’Imperatore Giuliano l’Apostata (361 – 363 d.C.), sia per la somiglianza con una iscrizione analoga di quel periodo rinvenuta in Alba Fucens, sia perché il culto di divinità “pagane”, come i Lari ed il Dio Fucino, sarebbe stato lecito solo durante il breve regno di quell’Imperatore, il quale aveva ripristinato l’antica religione di Roma e rinnegato il Cristianesimo, divenuto ormai religione “ufficiale” dell’Impero durante il regno di Costantino il Grande (306 –357 d.C.).
Un’altra iscrizione, chiamata “iscrizione di Nobilis” fu rinvenuta nel XVII° secolo dallo storico marsicano Muzio Febonio all’interno del Cunicolo Maggiore:
“NOBILIS. PROC(urator)
AVG(usti)
HIC. HUMATUS  EST.”

Nell’iscrizione si ricorda il luogo di sepoltura di un certo Nobilis, procuratore imperiale delle acque.

Ora, la presenza di questi procuratori imperiali, dimostra che in loco doveva esistere ancora uno specchio d’acqua, anche se di dimensioni ridotte.
La terza considerazione è che tutti i reperti archeologici, nelle zona interna del lago, sono stati rinvenuti nelle fascia esterna a quella che doveva essere la “nuova” sponda del Fucino dopo l’intervento di Adriano.
 

Anche durante l’ispezione del collettore romano eseguita da Brisse e De Rotrou, i due ingegneri francesi trovarono molto all’interno del bacino lacustre tronchi d’albero, avanzi di colture, ruderi di abitazioni ed i resti di una fornace per la produzione di mattoni e coppi; tutte cose che non avrebbero potuto esistere in quel luogo se non a condizione che quella zona di alveo fosse rimasta a secco per un lungo periodo di tempo.
Parimenti  nella zona del “bacinetto” non fu mai trovato nulla che facesse sospettare un suo prosciugamento, anche momentaneo.
Alti dati su questo argomento provengono, inoltre, da una fonte documentale antica che, abbastanza chiaramente, ci conferma l’esistenza del Lago del Fucino dopo la metà del II° secolo d.C., cioè dopo il completamento delle modifiche all’emissario da parte di Adriano, il Liber Coloniarum.
Il Liber Coloniarum  è una raccolta di notizie di carattere amministrativo e catastale; per la zona del Fucino riporta notizie riguardanti direttamente Alba Fucens e Marruvium.
Per il territorio di Alba Fucens (Ager Albensis) esso parla di una centuriazione, con suddivisione dei terreni e delimitazione dei confini, compiuta nell’anno 149 d.C. e che analizzeremo in modo più dettagliato nel prossimo capitolo, mentre per il territorio di Marruvium (Ager Marsus) riporta delle  notizie interessanti riguardanti il  tipo di confini, ma purtroppo senza riferimento ad una data precisa.

Le notizie riguardanti l’Ager Marsus si trovano in due sezione distinte:
“Marsus municipium licet consecratione veteri maneat, tamen ager eius intercisivis limitibus est assignatus”
“Sebbene il territorio Marso rimanga (nella condizione di) municipio secondo la vecchia solenne costituzione, tuttavia esso è stato ripartito con suddivisioni minori”. ( Liber Coloniarum; I°, 229 ).
“Marsus municipium licet consecratione veteri maneat, tamen ager eius aliquibus locis in tribus limitibus lege Augustea est assignatus. Limitibus maritimis et montanis ager eius aliquibus locis in iugeribus CC continetur. Terminibus vero Tiburtinis et siliceis, et aliis documentis, quibus ager Falleroniensis finitur”.
“Sebbene il territorio Marso rimanga (nella condizione di) municipio secondo la vecchia solenne costituzione, tuttavia esso in alcune zone è stato ripartito con tre linee di confine, in conformità alla legge di Augusto. Delimitato con confini marittimi ( > lacustri) e montani, il suo territorio in alcune zone è contenuto in appezzamenti di 200 jugeri ( * 1 jugero romano era pari a circa ¼ di ettaro; 200 jugeri costituivano una centuria). Esso è delimitato con cippi confinari di travertino e di pietra e con altre indicazioni, come per il territorio di Falerone”. (Liber Coloniarum; II°, 256 ).
Ora, se i confini dell’Ager di Marruvium erano montani e lacustri, vuol dire che dopo la seconda metà del II° secolo d.C. il lago Fucino esisteva ancora, anche se di superficie ridotta.
Dal punto di vista pratico, con l’intervento eseguito all’emissario del Fucino durante il regno di Adriano, la superficie del lago passò dai 140 Km2 iniziali a circa 60 Km2, vale a dire ad appena il 40% del valore di partenza, con l’acquisizione di oltre 8.000 ettari di nuove terre; con il progetto originale di Claudio, invece, il lago residuo avrebbe avuto una estensione di 90 Km2, pari al 65% della superficie iniziale, ed avrebbe portato all’acquisizione di “appena” 5.000 ettari di terra.