10) IL II° SECOLO d.C., "ETA' DELL' ORO" PER LA MARSICA.

Ai tempi di Claudio, con l’inizio dei lavori per la costruzione dell’emissario, ci fu una rapida crescita economica ed occupazionale per le popolazioni locali.
Ma il benessere durò appena una decina d’anni perché, con la sospensione dei lavori voluta da Nerone, tornò la solita vita stentata; e non poteva essere altrimenti in una zona montuosa dove le uniche attività di rilievo erano la pesca e la pastorizia, oltre al mestiere delle armi.
Poi, con la ripresa dei lavori sotto Traiano, rifiorirono le speranze dei Marsi.
Portata a termine la sistemazione dell’Emissario del Fucino, a partire dalla seconda metà del II° secolo d.C., iniziò per i Marsi un periodo di rapido sviluppo e di grande floridezza che coinvolse tutti i centri della zona.
A Marruvium (S. Benedetto dei Marsi), la nuova zona di terre tra la città e la nuova sponda del lago, dovette esercitare un’attrazione irresistibile e provocare in quella direttrice una notevole espansione edilizia; in quell’area sorse quindi il nuovo centro residenziale extraurbano.
E lì, quasi a metà strada  fra il vecchio centro storico e la nuova zona residenziale, fu costruito il nuovo teatro: un teatro spazioso, ornato di statue di marmo raffiguranti importanti personaggi di Roma e locali, simbolo della nuova fioritura e dell’opulenza di Marruvium e della Marsica tutta.
La strada che collegava il centro storico con la nuova zona residenziale, iniziava dove sono ancora oggi visibili i due “morroni”, unici sopravvissuti di una lunga serie che si estendeva di fronte alle acque del lago, a nord ed a sud della cinta muraria della città sulla strada consolare.
I “morroni” erano verosimilmente dei monumenti sepolcrali eretti ad memoriam di tutti i Marsi caduti in battaglia durante la Guerra Sociale, ed in particolare dei tre eroi marsi, Vezio Scatone, Quinto Poppedio Silone e Presenteio.
Nel loro complesso formavano una sorte di Heroon che servisse da monito alle giovani generazioni.
Della nuova zona residenziale di Marruvium e del suo teatro, tuttora interrati, esiste una eloquente documentazione aero-fotografica.
Il benessere apportato dall’impresa romana si estese comunque a tutta la zona della conca fucense.
Conosciamo i nomi di due grandi aziende agricole, il Fundus Favillenianus, nel territorio di Celano, ed il Fundus Tironianus, nel territorio di Pescina.
Conosciamo inoltre il nome di alcuni fattori ed amministratori di queste aziende agricole, coloni et vilici, come il vilicus Paternus ed il vilicus Tironianus.
Non mancavano gli impresari edili, come quello ricordato da un’iscrizione rinvenuta nel territorio di

Cerchio, di cui viene fornito anche il nome:
                          “ C(aius)  ALBIUS  TORQUATUS,  REDEMPTOR  (operis)”.

Sempre a quest’epoca risale la “iscrizione di Aurunculeia”, rinvenuta in S. Benedetto dei Marsi, contenente l’attestazione più antica e sicura dei toponimi di Celano ed Aielli:
                                          “(fundi)  CAELANI  (et)  AGELLANI”.

Sulla via Valeria si trovava Cerfennia (Collarmele), importante stazione di posta lungo la strada consolare, il cui nome, come quello di Corfinium (Corfinio), derivava dal Dio Purcefro o Cerfo, antica divinità dei Marsi, importata in loco probabilmente dalla religione degli Umbri.
Abbiamo notizie di un Vicus Pettinus, attestato da una laminetta  bronzea, ora a Parigi, del quale però non conosciamo la localizzazione esatta.
Tra Luco e Trasacco, allo sbocco della Vallelonga nella conca del Fucino, c’era un Vicus Estaniensis, attestato da un grande cippo funerario e da pregevoli porte funerarie dedicate a due uomini d’armi, Pompeus Gibba ed a Caius Vibius Macer, riccamente ornate di insegne e decorazioni militari.
Nelle immediate vicinanze dell’Emissario romano sorgeva la città sacra di Angitia, sede del santuario della dea il quale, all’epoca, doveva essere circondato da un fitto bosco (lucus Angitiae).
Il bosco doveva coprire le pendici del monte La Ciocca , sino a bagnare le sue radici nelle acque del lago.
Tutta l’area sacra doveva essere circondata da un muro di cui si possono vedere ancora oggi i ruderi nelle vicinanze della chiesa medioevale della Madonna delle Grazie, sorta probabilmente sul luogo dell’antico santuario.
La Dea Angitia, dea nazionale dei Marsi, era venerata anche nell’area Peligna con il nome di Anagtia, Anaceta o Anceta, come risulta da numerose iscrizioni epigrafiche.
Il muro di cinta della città-santuario fu restaurato in epoca imperiale, come risulta attestato da una epigrafe rinvenuta in loco nel 1808:
SEX(tus)  PACCIUS P(ater)  ET  SEX(tus)  PACCIUS  F(ilius)
QUINQ(ennales magistrati)  MVRVM  VET(ustate)
CONSUMPTVM  A  SOLO  REST(ituerunt)  EX  P(ublica)  P(ecunia)  ANGITIAE.

in cui si afferma che due magistrati “quinquennali”, vale a dire magistrati incaricati dei lavori pubblici, Sesto Paccio, padre e figlio, ripararono il muro di cinta, cadente per l’antichità, con il pubblico denaro di Angitia.
 

Angitia ebbe, nel corso del II° secolo d.C., certamente un notevole sviluppo e la sua vicinanza alla zona cruciale dei lavori dell’Emissario la favorì, facendole acquisire la sua autonomia municipale e propri magistrati.
Fu patria di un certo Sergius Octavius Laenas Pontianus, console a Roma nel 131 d.C.
Con l’avvento del cristianesimo, per ovvi motivi, cambiò il suo nome in “Pinna” ed il centro urbano fu spostato più a valle; ma questo cambiamento non portò fortuna alla nuova città che, già in epoca tardo-medioevale , era sprofondata nelle acque del lago, probabilmente per una frattura dei banchi calcarei, minati alla base da fenomeni di corrosione carsica.
Nella Historia Marsorum di Muzio Febonio (1670), l’autore afferma che nei periodi di decrescenza del Fucino, era ancora possibile osservare le rovine di Pinna che affioravano dalle acque del lago.
Successivamente il paese fu ricostruito e prese il nome oronimico di Luco dei Marsi.
Ortigia (Ortucchio), situata sulla sponda sud-orientale del lago, era una delle località più antiche della conca fucense, essendo stata abitata fin dal Paleolitico superiore da popoli arcaici che ci hanno lasciato strutture palafitticole, ceramiche e tracce di strutture murarie in “poligonie grandi”.
Lo scrittore latino Paolo Marso la descrive localizzata su di un’isola distante quattro miglia dall’inghiottitoio del Pitonio:
“Ad quattuor milia passuum versus Austrum erat insula Fucino Marsorum Ortigia appellata, nunc oppidum nomen retinet…”.
Dionigi d’Alicanasso la ricorda con il nome di “Issa”, un’isola situata nel lago del Fucino, nei pressi di Marruvium.
In età romana fu distrutta durante la guerra Sociale e successivamente ricostruita; fu molto apprezzata dai patrizi romani che, sfruttando la sua posizione particolare, vi organizzavano feste grandiose con simulazioni di naumachie.
Sempre nei pressi di Marruvium, si trovava il Castrum Piscinae (Pescina), un robusto presidio militare edificato probabilmente al tempo della Guerra Sociale per difendere la capitale marsa  dagli attacchi delle truppe romane.
Prendeva il nome da un ansa del flumen Juvencus in cui  si trovavano dei vivai per l’allevamento delle anatre e delle tinche del Fucino.
Da notare che proprio il fiume, anticamente chiamato Pitonius, dopo la Guerra Sociale prese il nome di Juvencus, (oggi Giovenco), per ricordare  Juventius, un eroe sannita morto sulle sue sponde per mano di Silla, nel tentativo di arginare l’invasione romana della capitale marsa Marruvium.
Sempre in concomitanza dei lavori per la costruzione dell’Emissario del Fucino, cominciò a prendere origine il nucleo di quello che più tardi diventerà Avezzano, l’attuale capoluogo della Marsica.
Infatti, sia durante i lavori di Claudio, che durante i successivi interventi di Traiano ed Adriano, ci fu la necessità di costruire un accampamento in cui ospitare gli addetti ai lavori per la realizzazione dell’opera:  schiavi, operai liberi, soldati, ingegneri ed ispettori imperiali.
L’accampamento, inizialmente costituito da baracche  e successivamente da edifici in muratura, venne realizzato nei pressi del cantiere, in un fundus appartenente alla gens Vettia, un casato più volte attestato fra i Marsi, e pertanto denominato Ad Vettianum fundum ; da qui deriverebbe il successivo nome di Avezzano.
Nella zona del Fucino, inoltre, stabilirono la propria residenza, villae, parecchi personaggi importanti della Roma imperiale.
Nel territorio di Alba Fucens, ebbe possedimenti terrieri ed una villa rustica Lucio Vitellio, padre dell’Imperatore Aulo Vitellio (aprile – dicembre del 69 d.C.).
La stessa Alba Fucens visse in questo periodo l’apogeo della sua splendida storia.
Sono da riferire al II° secolo d.C. numerosi rifacimenti ed abbellimenti dei monumenti, degli edifici pubblici e delle domus patrizie esistenti all’interno ed all’esterno delle sue mura.
Si hanno notizie di ville rustiche appartenute all’Imperatore Marco Aurelio ed ad altri dignitari della sua corte.
D’altra parte anche Claudio ed Agrippina risiedettero ad Alba durante i giorni della doppia inaugurazione dell’emissario del Fucino.
In quell’occasione l’Imperatrice fece dono ai Magistrati della città di una statuetta di bronzo dorato che la raffigurava; la statuetta fu rinvenuta durante gli scavi degli anni ’60 ed è attualmente conservata preso il Museo Nazionale di Chieti.
A Supinum, oggi Trasacco, è di queso periodo la ricostruzione  dell’anfiteatro, il restauro del teatro e la costruzione del nuovo tribunal, festeggiati con due giornate di rappresentazioni teatrali.
Risalgono sempre a questo periodo dei monumenti funerari, riccamente decorati, appartenuti a personaggi d’alto rango nel campo militare.
Invece, in quell’epoca, già non esisteva più la città di Archippe, ingoiata dal lago molti anni prima.
La città doveva trovarsi a metà strada tra Ortigia e Supinum, in una località anche oggi nota come località Arciprete; ma il condizionale è d’obbligo se è vero che, già in epoca romana, parlando della mitica città marsa, si usava dire: “Archippe qua lacus parte fuerit, nemo facile divinaverit”.
Muzio Febonio riferisce che ai suoi tempi, XVII° secolo, durante i periodi di decrescenza del Fucino, si potevano vedere affiorare dalle acque le vestigia di Archippe, fra le quali trovò una statua tronca ed una lastra con la seguente epigrafe:
“Q.   SPEDIVS P.  F.  ANN.  XXVII  PRO  PVDE
AMANS  PARENTIS”.

dedicata, da un certo Quinto Spedio,  al padre onesto (probus) e rispettoso (pudens) verso di lui.

Nei pressi di Ortigia, nel territorio di Lecce dei Marsi, si trovava il Vicus Anninus, il cui nome derivava dalla gens Annia, un altro casato attestato più volte fra i Marsi.
Il sito era già famoso nei tempi più remoti, poiché ospitava il tempio della Dea Valetudo, una divinità arcaica dei Marsi.
Nei recenti anni ’70 il Vicus Anninus è salito agli onori della cronaca, per la scoperta di una lunga iscrizione, di età imperiale, incisa sulla base di una statua eretta dai suoi compaesani, in onore di un ex ufficiale, tale Aulo Virgio Marso che, partito dalla gavetta, aveva percorso le tappe più importanti della carriera militare prima sotto Augusto e, successivamente, sotto Tiberio; dopo il  congedo si era ritirato a Marruvium.
Alta 108 cm, larga 55 cm nel corpo e 69 cm alla base, spessa 43 cm, presenta il seguente testo in 14 righe:
“A(ulo)  VIRGIO L(ucii) F(ilio) MARSO,
PRIM(o)  PIL(o) LEG(ionis) III GALLICAE
ITERVM, PRAEF(ecto) CASTR(orum) AEGY(pti),
PRAEF(ecto) FAB(rum), TR(ibuno) MIL(itum) IN PRAET(orio)
DIVI AVGUSTI ET TI(berii) CAESARIS AVG(usti)
COHORT(ium) XI ET IIII PRAETORIAR(um),
IIIIVIR(o) QUINQ(uennali) DELATO HONORE
AB DEC(urionibus) ET POPUL(o) IN COL(onia) TROAD(ensium)
AVG(usta) ET MARRU(v)IO, TESTAMENTO
DEDIT VICALIBUS ANNINIS IMAGIN(es)
CAESARUM ARGENTIAS QUINQUE
ET SESTERZIA X MILIA
VICALES ANNINIS HONOR(is)

CAUSA”.

Traduzione:
“Ad Aulo Virgio Marso, figlio di Lucio, primipilo due volte nella  legione III° Gallica, comandante del genio, tribuno militare delle coorti pretorie XI° e IV° nel pretorio del divino Augusto e di Tiberio Cesare Augusto, quattuorviro quinquennale per deliberazione dei decurioni e del popolo nella colonia di Troade Augusta ed a Marruvio; (a lui che) donò per testamento agli abitanti del Vicus Anninus cinque busti di membri della famiglia imperiale e 10.000 sesterzi, gli abitanti del Vicus Anninus per onorarlo (posero questa statua)”.


Questa situazione splendida per tutta la Marsica durò sicuramente per tutto il II°  ed il III° secolo; poi le cose gradualmente cambiarono, in parallelo con la crisi di Roma, fino al tracollo totale coinciso con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C.