2) I MARSI

Anche sulle rive dello splendido lago l’avventura umana si svolse secondo i diversi stadi culturali: all’economia caratterizzata dalla caccia e dalla raccolta, tipica del Paleolitico superiore e del Mesolitico (40.000 – 8.000 a.C. ), seguì la fase dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame, tipica del Neolitico; quindi si sviluppò la tecnica dei metalli.
Nella zona del Fucino non dovrebbe essere esistito alcun centro che abbia contribuito alla formazione della cultura Appenninica, per cui è da ritenere che, pur avendo modificato in maniera sensibile il sistema di vita degli agricoltori, le “genti venute dall’est” durante l’Eneolitico (5.000 –3.000 a.C.) non vi crearono quella omogeneità che altrove favorì la formazione di quei centri dai quali derivò appunto la cultura Appenninica.
Questa è stata introdotta nel Fucino in una fase abbastanza tardiva, probabilmente da pastori provenienti dai territori limitrofi delle Marche e delle Puglie, i quali trovarono in zona delle popolazioni ad economia mista, nelle quali era ancora forte la tradizione neolitica, soprattutto nella sfera cultuale.
I gruppi di pastori ebbero contatto con le popolazioni locali se non altro per acquistare i loro prodotti agricoli: forse a questo fatto si deve la precocità della formazione della cultura Sub-appenninica, in contrasto con il relativo ritardo dell’instaurarsi della cultura appenninica.
Intorno al grande lago le genti sub-appenniniche abbandonarono i villaggi all’aperto per abitare  nelle grotte, e comunque si stanziarono in zone fuori delle vie di comunicazione dove la natura poteva facilitare le difese.
Essi appaiono culturalmente arretrati rispetto alle popolazioni dell’Italia settentrionale e meridionale e, pur accogliendo nuovi elementi, conservarono a lungo la loro individualità che caratterizzerà la civiltà italica e contribuirà alla sua formazione.
Quindi, nei secoli che chiudono il II° millennio a.C., tribù di pastori e di agricoltori, ciascuna con le sue industrie caratteristiche e con i suoi caratteristici modi di vita, abitavano gli altipiani, le valli e la fascia costiera di tutta la zona dell’Italia centrale corrispondente all’odierno Abruzzo.
Purtroppo ancora oggi sappiamo ben poco delle culture abruzzesi dell’età del ferro e poco, purtroppo, anche delle successive civiltà italiche.
I resti delle loro culture provengono solo da necropoli, mentre poco si è fatto per riportare alla luce le loro città, di molte delle quali è peraltro perfettamente conosciuta l’ubicazione.
D’altronde le antiche civiltà italiche si identificano con un problema di migrazioni.
L’antefatto di questo popolamento da parte degli antichi italici sta nella questione che essi, tribù di origine indoeuropea, furono gli ultimi a toccare il suolo italiano: verosimilmente erano delle tribù isolate che, sbarcate sulle coste adriatiche e trovate “occupate” tutte le aree migliori da altri gruppi etnici, furono obbligate ad addentrarsi verso l’interno,  stabilendo il cuore del loro stanziamento nell’altipiano intorno all’attuale Rieti.
Di qui l’espansione  verso sud è possibile attraverso due strade: una attraverso la valle dell’Aterno, l’altra, più occidentale,  attraverso la valle del Salto.
Sono di fatto le valli che collegano la base di partenza con il Fucino, il cui spazio aperto deve essere stato assai attraente come scelta per l’insediamento.
Fra l’VIII° ed il VI° secolo a.C. attraversarono la regione gli Ernici che si stanziarono in Ciociaria; poi vennero gli Equi che si arrestarono a Palestrina; infine, nel V° secolo a.C., i Volsci che si collocarono nella regione Pontina , da Anzio in giù.
I Marsi sono gli ultimi del movimento a cui appartennero Equi ed Ernici, mentre sono anteriori all’attraversamento del territorio da parte dei Volsci.
Le origini della storia marsa risalgono, quindi, agli inizi del VII° secolo a.C.

Il Ver Sacrum  che portò i Marsi nella valle del Fucino, anche se fu fenomeno di minore importanza rispetto alla migrazione dei Frentani e dei Sanniti , pure fece sì che essi si stanziassero tutt’intorno al grande lago anche se la zona settentrionale della costa lacustre appartenne agli Equi, che si erano già da tempo stabiliti in questa parte del territorio.
Con molta probabilità i Marsi, per evitare una guerra, si astennero dall’occuparla.
Attraverso un vado che costeggia il monte Salviano, i Marsi  penetrarono nella valle del Liri occupandola fino alla zona di Antinum.
A sud del lago si estesero lungo la valle del fiume Giovenco (Pitonius, all’epoca) e da qui verso le sorgenti del Sangro di cui occuparono la sponda destra , fino ai confini con Aufidena che apparteneva già al gruppo sannitico dei Pentri.
Per tutto il lato orientale, alte ed ininterrotte montagne tennero divisi i Marsi dai Peligni  che tra loro comunicavano attraverso il valico nei pressi di Cerfennia.
D’altra parte il problema dei popoli italici va riesaminato ridimensionando notevolmente l’idea che essi fossero popoli completamente strutturati i quali, per mezzo di una migrazione, apparirono in un preciso momento nello scenario di una precisa regione; bisogna invece porre attenzione ai processi di sovrapposizione, fusione e simbiosi culturale che portò alla lunga e laboriosa formazione finale delle tribù italiche.
Non va poi dimenticato che il suolo, quasi tutto montuoso e coperto da boschi impenetrabili, per giunta  abitati da animali come orsi e lupi, rendeva difficili le comunicazioni tra popoli vicini e naturalmente si opponeva alla riunione di varie tribù in una sola nazione.
Da qui il carattere, le tradizioni e, a volte, anche la lingua diversi , per popoli fra loro vicini e spesso della stessa stirpe.
Per lo più le emigrazioni avvenivano in primavera – da qui il nome di Ver Sacrum - e le tribù si mettevano in cammino, prendendo un nume tutelare come guida : per i giovani marsi il Dio era Marte, da cui pare derivi l’etimologia del nome Marsi.
L’obiettivo delle emigrazioni non era la conquista di nuove terre o l’insediamento stabile in nuove zone; si trattava piuttosto dello spostamento di gruppi ancora nomadi alla ricerca di nuovi pascoli per il bestiame.
L’avanzata di questi gruppi, del resto assai ridotti, non era quindi una spedizione di conquista, ma una serie di occupazioni temporanee e di scorrerie, tanto che i rapporti con le popolazioni indigene finivano per essere di guerriglia o di infiltrazione.
Lo stabilirsi di questi nomadi in sedi fisse, il loro fondersi con altre popolazioni ed il loro strutturarsi fino al sorgere di una coscienza nazionale, fu un processo graduale che comunque ebbe inizio proprio in occasione delle Primavere Sacre.
E’ anche probabile che il definitivo fissarsi dei nomadi, la fusione con altri elementi etnici ed il definirsi di tale insieme come “Popolo”, coincidessero con il passaggio dal Regnum alla Respublica, passaggio che si verifica puntualmente in tutti i popoli Italici.
A questo peregrinare in cerca di pascoli sempre nuovi, si accompagna la necessità di trovare sbocchi verso la pianura per assicurarsi i pascoli invernali e quindi la trasformazione della pastorizia da “nomade” in “transumante”; nello stesso tempo la ricerca  della pianura, a poco a poco, si trasforma in desiderio di terra fertile ed il pastore comincia ad invidiare la vita sedentaria dell’agricoltore.
Per popoli come quello marso che, per la mancanza di terra, dovrà mantenere la pastorizia in posizione preminente, l’assestamento economico sarà conseguito con la transumanza regolare che, per altro,  rimase in auge fino a pochi decenni or sono.
Ecco perché per i Marsi che si stabilirono sulle sponde del grande lago, fu necessario assicurarsi il possesso della valle del Liri, per garantirsi una via per la transumanza.
Ma questa si dimostrò ben presto insufficiente, tanto da rendere indispensabile trovare una seconda via per la migrazione ciclica delle greggi.
Fu questa la premessa necessaria per la creazione della Lega Sabellica, il cui scopo fu certamente quello di  garantire, attraverso il transito in territori di popoli alleati, il collegamento fra i pascoli estivi dell’Alto Appennino con quelli invernali della costa frentana.
La ricerca dei pascoli invernali si svolse in due direzioni diverse: da una parte verso le pianure tirreniche , dall’altra verso l’Apulia.
La prima è provata dall’occupazione marsa della valle del Liri, povera ed estranea al bacino del Fucino, ma comunicante con il territorio degli Ernici, ricco di pascoli adatti alla transumanza.
Più tardiva è la transumanza verso le pianure dell’Adriatico di cui non si conoscono attestazioni anteriori al IV° secolo a.C., epoca che coincide appunto con l’entrata dei Marsi nella Lega Sabellica.
Si può supporre che Marsi e Peligni, vale a dire il primo nucleo della Lega cui più tardi ( 304 a.C. )
aderiranno anche Vestini, Marrucini e Frentani, fossero già schierati con la prima Lega Sannitica  dal 354 a.C.

E’ verosimile che il motivo di fondo che spinse i Marsi a scegliere i Sanniti come alleati, fosse la necessità di associare al progetto sannita di espansione verso la Campania, la propria ricerca di uno sbocco definitivo ai pascoli invernali nelle dolci pianure laziali e campane.
L’ostilità diretta tra i Marsi e Roma iniziò comunque molto più tardi, nel 308 a.C., come ci riferisce Livio :
“Marsi eo primo proelio cum Romanis bellassent”.
I Marsi, infatti, grazie alla loro posizione geografica, erano piuttosto lontani dal teatro delle Guerre Sannitiche.
L’ostilità durò fino al 304 a.C. (LIVIO; AB URBE CONDITA; IX; 45, 18), data del foedus  concesso a Marsi, Marrucini, Peligni e Frentani su loro espressa richiesta, dopo che questi popoli avevano visto sterminare dai romani, in pochi giorni, l’intera etnia degli Equi che si era rifiutata di accettare l’alleanza di Roma.
Con il trattato di alleanza i Marsi ottennero la civitas sine suffragio, ma dovettero cedere a Roma una discreta fetta del loro territorio, comprendente i Piani Palentini.
Alba Fucens, sottratta agli Equi, fu trasformata in colonia e vi vennero fatti affluire ben 30.000 veterani.
Nel 302 a.C., poiché i Marsi si erano ribellati alla deduzione della colonia romana di Carsioli, caddero in mano al dictator Valerio Massimo le città marse di Milonia, Prestilia e Fresilia.
Il foedus fu stipulato di nuovo, ma l’indipendenza militare marsa era ormai persa irrimediabilmente.
Nel 202 a.C. Roma chiamò a raccolta tutti i socii italici per affrontare il grave pericolo dell’avanzata cartaginese ed, anche grazie al loro contributo, riuscì a sconfiggere Annibale a Zama.
In quell’occasione il contingente marso combatté agli ordini dello stesso Scipione l’Africano da cui ricevette elogi solenni e riconoscimenti ufficiali.
E’ sempre Livio che ci relaziona sull’avvenimento:
“ Cum Scipio classem comparavit, Marsi, Paeligni Marrucinique multi voluntarii nomina in eam dederunt.” (LIVIO ; AB URBE CONDITA; XXVIII; 45, 19 ).
Anche nella Marsica venne celebrato solennemente il trionfo su Cartagine.
A Marruvium venne eretta una stele a ricordo delle prede di guerra concesse da Scipione; una parte dell’iscrizione è tuttora esistente  e vi si può leggere: “……Carthagine capta …”.
All’inizio del III° secolo dunque i Marsi appaiono attivamente partecipi della vita e della storia di Roma: a conti fatti l’autonomia non sarebbe loro convenuta.
D’altronde il formarsi di grandi estensioni di ager publicus usufruibile come pascolo favorisce certamente il crearsi di grandi greggi transumanti che, dai pascoli estivi dell’Appennino, scendono d’inverno ai pascoli invernali delle pianure del Lazio e dell’Apulia.
Per i Marsi, la cui intera etnia contava circa 25.000 unità, questa situazione è decisamente favorevole perché la pastorizia, come abbiamo visto, fin dai tempi più antichi è la maggiore attività che le condizioni geografiche della regione del Fucino consentano di praticare con un cero utile.
Così le migrazioni presero soprattutto la via dell’Adriatico e dell’Apulia, l’antico “tratturo”, mentre sempre minore divenne l’importanza dei pascoli verso l’Agro Pontino.
Il nome dei Marsi appare per la prima volta nell’annalistica romana dopo la metà del IV° secolo: Livio ( VIII; 6,8 ) parla di un passaggio “per Marsos” di truppe romane dirette a Capua nel 340 a.C.;
sia Livio che Diodoro Siculo riferiscono della partecipazione dei Marsi alla Guerra Sannitica del 309 a.C. e del foedus concluso con l’Urbe nel 304 a.C. e che di fatto resterà in vigore fino alla Guerra Sociale (91 – 88 a.C.).
La storiografia romana ha sempre mirato a rappresentare i rapporti con i Marsi improntati ad amicizia e collaborazione antichissime: in realtà, nel IV° secolo, i Marsi, dovendo scegliere tra l’alleanza con Roma o con i Sanniti, scelsero questi ultimi tenendo ben presenti le loro necessità derivanti dalla transumanza; dovettero cioè cercare di risolvere i problemi della loro economia pastorale per la quale, l’alleanza con i nemici di Roma, era senz’altro più ricca di prospettive.
Altra risorsa da non disprezzare, per un popolo di scarse risorse economiche, fu il servizio militare: la Lega Sabellica era infatti tenuta a fornire a Roma un contingente di truppe che, nel 225 a.C., era pari a 40.000 fanti e 4.000 cavalieri.
Come soldati, i Marsi erano tenuti in grande considerazione: nella letteratura romana appaiono come un popolo bellicoso, forte e capace di mantenersi fedele anche nei momenti della sconfitta.
Infatti, anche dopo la Guerra Sociale, durante le lotte fra Mario e Silla, Crasso si preoccuperà di arruolare truppe fra i Marsi; come pure, durante la guerra fra Cesare e Pompeo, Domizio Enobardo arruolerà truppe fra i Marsi ed i Peligni; non pochi furono i Marsi che, soprattutto nell’età imperiale, giunsero ai gradi più alti della carriera militare nell’esercito di Roma.