6) INAUGURAZIONE SOLENNE DELL' EMISSARIO ( 52 d.C.).

Come era costume dell’epoca, le grandi opere di solito venivano inaugurate con feste e spettacoli.
E per il Fucino le cose vennero organizzate in forma eccezionalmente grandiosa, con il più grande spettacolo che fosse possibile offrire nel mondo antico: una grande battaglia navale nelle acque stesse del lago !
La corte imperiale, Claudio, il principe ereditario Nerone ed Agrippina alloggiarono per l’occasione ad Alba Fucens; e la stessa imperatrice donò ai magistrati della città un bronzetto dorato con la sua effigie, a ricordo dell’evento.
L’avvenimento suscitò l’interesse e la curiosità di molti scrittori antichi, i quali, tanto furono avari nella descrizione dei particolari tecnici dell’impresa di Claudio, quanto furono generosi nella descrizione dei festeggiamenti per l’inaugurazione dell’emissario, anche con particolari mondani che spesso sfociano nel “pettegolezzo”.
Tacito riferisce così i preparativi  dell’avvenimento:
“Sub idem tempus, inter lacum Fucinum amnemque Lirim perrupto monte, quo magnificentia operis a pluribus viseretur lacu in ipso navale proelium adornatur…”
“In quello stesso periodo di tempo, fu eseguito lo scavo del monte che sta tra il lago Fucino ed il fiume Liri e, affinché la maggior moltitudine di spettatori potesse ammirare l’opera grandiosa, venne allestito sulle acque dello stesso lago un combattimento navale…”. (TACITO; ANNALES; XII, 56, 1).
Dal testo si rileva che la galleria sotterranea era già stata completata e che, trattandosi della realizzazione di un opera grandiosa, si volle sollecitare la presenza di una numerosissima folla di spettatori con l’allestimento di una naumachia (navale proelium) proprio nelle acque del lago, che di lì a poco sarebbe stato svuotato.
Un avvenimento del genere doveva richiamare la curiosità di tanta gente, ma nell’intenzione di Claudio esso doveva essere un pretesto perché l’Imperatore desiderava che la folla accorresse numerosa per ammirare l’apertura ed il funzionamento dell’emissario del Fucino.
Ad ogni modo, che si trattasse di un pretesto o meno, la naumachia fu voluta, fu allestita ed ebbe svolgimento.
E senz’altro questa doveva essere la prima volta che i popoli rivieraschi, e molti altri spettatori venuti da lontano, potevano assistere ad uno spettacolo così inconsueto per le contrade del Fucino.
Seguiamo ancora il resoconto di Tacito:
“Claudius triremes quadriremesque et undeviginti hominum milia armavit, cincto ratibus ambitu, ne vaga effugia forent, ac tamen spatium amplius ad vim remigii, gubernantium artes, impetus navium et proelio solita”.
“Claudio armò triremi e quadriremi e 19.000 uomini; distese lungo le sponde una cintura di zattere, che precludesse ogni fuga, ma abbracciasse uno spazio sufficiente al movimento dei remi, alle manovre dei piloti, al cozzo delle navi ed a tutte le altre vicende proprie di uno scontro tra navi”. (TACITO; ANNALES; XII; 56, 2).
Ciò che risalta subito dalla descrizione dello scrittore latino è l’ingente spiegamento di navi e di uomini, che dovevano operare entro uno spazio d’acqua ben delimitato e difeso da una cintura di zattere per evitare la fuga dei combattenti, ma sufficiente a consentire lo svolgimento di quelle manovre tipiche di un combattimento navale.
La provenienza dei combattenti – detenuti, schiavi, prigionieri di guerra, condannati a morte – era tale da rendere necessario un adeguato spiegamento di forze e di guardie pronte ad intervenire nel caso di tentativi di fuga.
Infatti sulle zattere erano fanti e cavalieri armati e sulle navi, sistemate intorno ai margini del lago, erano stati posti dei marinai.
Dice ancora Tacito:
“In ratibus praetorianarum cohortium manipuli turmaeque adstiterant, antepositis propugnaculis, ex quis catapultae ballistaeque tenderentur. Reliqua lacus classarii tectis navibus obtinebant”.
“Sulle zattere avevano preso posto manipoli e compagnie di coorti pretorie e, innanzi a loro, erano stati eretti baluardi per piazzarvi catapulte e balestre. Le altre parti del lago erano vigilate da marinai arruolati su navi a ponte”. (TACITO; ANNALES; XII; 56, 3, 4).
Si trattava quindi di una vera cintura di ferro, di una muraglia con catapulte e balestre nelle mani di fanti e cavalieri delle coorti pretorie, mentre in zone alquanto arretrate, i marinai sorvegliavano dai ponti delle navi.
Ma va subito aggiunto che tutto questo spiegamento di forze era in perfetta sintonia con tutta quella moltitudine di curiosi e spettatori che riempivano le sponde del lago, le colline e le pendici dei monti circostanti, come in un enorme anfiteatro naturale; seguiamo ancora Tacito:
“Ripas et collis montiumque edita in modum theatri multitudo innumera complevit, proximis e municipiis et alii urbe ex ipsa, visendi cupidine aut officio in principem”.
“Una sterminata folla gremiva le rive e le colline e le sommità dei monti a mo’ di teatro. Gente accorsa dai municipi vicini o da Roma stessa per curiosità o per cortigianeria”. (TACITO; ANNALES; XII; 56, 5),
In tal modo il disegno di Claudio era perfettamente riuscito.
Oltre ai curiosi ed a quelli che si erano recati allo spettacolo per rendere omaggio alla Coppia Imperiale, c’era un nutrito numero di personaggi che facevano parte del seguito dell’Imperatore, come Plinio il Vecchio, il quale conferma il suo ruolo di testimone oculare dell’avvenimento quando scrive:
“Nos vidimus Agrippinam Claudi principis, edente eo navalis proelii spectaculum, adsidentem et indutam paludamento aureo textili sine alia materia”.
“Noi abbiamo visto Agrippina, consorte del Principe Claudio, quando lui offrì lo spettacolo della battaglia navale, mentre vi assisteva, vestita con una veste tessuta tutta d’oro”. (PLINIO IL VECCHIO; NATURALIS HISTORIA; XXXIII; 19, 63).
Claudio ed Agrippina vollero essere all’altezza dell’occasione anche per la munificenza dell’abbigliamento.
Oltre a quanto aveva osservato personalmente Plinio il Vecchio, anche Tacito ci da delle informazioni di carattere “mondano”:
“Ipse insigni paludamento neque procul Agrippina clamide aurata praesedere”.
“Il Principe, indossando un superbo mantello di guerra, ed Agrippina, rivestita di una clamide tessuta in oro, presiedevano alla spettacolo”. (TACITO; ANNALES; XII; 56, 7).
E’ evidente che a Tacito piace mettere in rilievo tutti questi apparati per far risaltare i forti contrasti esistenti tra i partecipanti all’evento, tanto che le fasi del combattimento vengono poi descritte in poche battute, sufficienti però a rappresentare le atrocità a cui assistettero gli spettatori:
“Pugnatum quamquam inter sontes fortium virorum animo, ac post multum vulnerum occidioni exempti sunt”.
“La battaglia fu combattuta valorosamente, sebbene fosse tra ciurme di delinquenti; e quando il sangue fu largamente sparso, fu concesso loro di interrompere il massacro”. (TACITO; ANNALES; XII; 56, 7).
Fin qui il racconto di Tacito; ma l’impresa del Fucino e l’inaugurazione dell’emissario furono descritte da altri autori antichi, tra i quali spicca il nome di Svetonio.
L’autore del De vita duodecim Caesarum, dedica a questo argomento passi di due capitoli (XX° e XXI°) della sezione dedicata a Claudio; veniamo così a sapere che il monte Salviano fu in parte scavato ed in parte tagliato per una lunghezza di 3 miglia romane: “…per tria autem passuum milia partim ecfosso monte, partim excisso …”.
Un altro particolare consiste nel fatto che la costruzione del canale collettore fu portata a termine a stento: “…canalem absolvit aegre…”,  solo dopo undici anni di lavoro e con l’impiego ininterrotto di 30.000 uomini: “…et post undecim annos, quamvis continuis, XXX hominum milibus sine intermissione operantibus”.
Più avanti Svetonio passa alla descrizione della naumachia fornendoci particolari che non erano stati rilevati da Tacito.

Egli infatti ci parla del comportamento dei naumachiarii delle due flotte in gara e del segnale dell’inizio dei combattimenti che fu dato per mezzo di un Tritone d’argento spuntato all’improvviso dalle acque del lago.
Scrive testualmente:
“…quin et emissurus Fucinum lacum naumachiam ante commisit. Sed cum proeliantibus naumachiariis: Have Imperator, morituri te salutant!  respondisset: Havete et vos!  Neque post hanc vocem quasi venia data quisquam dimicare vellet, diu cunctans an omnis igni ferroque absumeret, tandem e sede sua prosiluit ac per ambitum lacus non sine foeda vacillatione discurrens, partim minando partim adhortando ad pugnam compulit. Hoc spectaculo classis Sicula et Rhodia concurrerunt, duodenarum triremium singulae, exciente bucina Tritone argenteo, qui medio lacu per machinam emerserat”.
“…anzi, volendo prosciugare il lago Fucino, prima vi diede una naumachia; ma ai naumachiarii che gridavano: - Salve Imperatore, quelli che stanno per morire ti salutano! - , egli rispose:- Salve anche a voi!- , e poiché, dopo questo saluto, come fosse stata data la grazia, nessuno voleva più combattere, egli a lungo esitò se sterminarli tutti con ferro e fuoco, ed alla fine si alzò dal seggio e, correndo qua e là intorno al lago, non senza scomposti vacillamenti, li indusse al combattimento sia con le minacce sia con le esortazioni. A questo spettacolo concorsero la flotta sicula e quella rodiese, ciascuna con dodici triremi e dava il segnale un Tritone d’argento, che era emerso dal centro del lago per mezzo di un congegno meccanico”.(SVETONIO; DE VITA XII CAESARUM; Claudius; XXI°).
Gli elementi che emergono dall’esame del passo sono i seguenti: l’Imperatore offre lo spettacolo della naumachia prima dell’inaugurazione dell’emissario e ciò al fine di richiamare una numerosa folla intorno alla sponde; i naumachiarii prima d’impegnarsi in un sanguinoso combattimento rivolgono all’Imperatore il saluto di rito, forse con la segreta speranza di avere salva la vita; ed in tal senso, infatti, interpretano  la risposta imperiale “Havete vos!”.
Ma Claudio, che non intendeva assolutamente rinunciare allo spettacolo per il quale si era radunata tanta folla, con il suo incedere claudicante iniziò a correre qua e là sulla sponda del lago per persuaderli a combattere con buone maniere o con minacce; e vi riuscì perché il combattimento ebbe luogo; d’altra parte non poteva che essere così, vista la cintura di pretoriani armati che circondava i poveri prigionieri.
Svetonio ci fa sapere ancora che le flotte dovevano rappresentare la battaglia navale fra Siculi e Rodiesi e che ciascuna flotta era composta da 12 triremi; altro particolare curioso è dato dalla presenza di quel congegno meccanico a forma di Tritone che, emergendo dalle acque centrali del lago, dava segnali con una trombetta.
Terzo storico della serie, che riferisce della naumachia del Fucino, è Dione Cassio Cocceiano il quale, nella sua Storia Romana ( libri LX, LXI ), riferisce che Claudio fece costruire intorno al lago una cintura di legno e che vi eresse delle impalcature per ospitare una parte della grande moltitudine di spettatori, verosimilmente quelli che facevano parte del seguito imperiale, come ad esempio Plinio il Vecchio.
Il racconto dello storico greco continua facendo rilevare che, mentre gli altri spettatori vestivano a loro piacimento, Claudio e Nerone indossavano divise militari ed Agrippina era adornata da una clamide tessuta in oro.
Nel brano troviamo la notizia della presenza di Nerone, all’epoca giovinetto quindicenne, che a quel tempo era già stato adottato e quindi, in qualità di Principe Ereditario, doveva presenziare per forza di cose all’inaugurazione di un opera così grandiosa.
Dione Cassio ci fa sapere anche che quelli che partecipavano alla naumachia erano dei condannati a morte  ed avevano 50 navi per ciascuna delle due flotte, chiamate dei Siculi e dei Rodiesi, senza dirci però se si trattasse di triremi o quadriremi; nel riferire il numero delle navi si scosta di molto da Svetonio che ne aveva identificate appena 24 in tutto
La narrazione dello storico greco così prosegue:
“I combattenti in principio riunitisi ed unitisi per un’azione comune, così salutarono Claudio tutti insieme: Ave, Imperatore; noi che stiamo per morire ti salutiamo! E poiché non trovarono nessuna salvezza, ma furono anche stimolati a combattere, ricorsero a semplici passaggi e subito l’un l’altro si azzuffarono fino a che non furono fatti a pezzi per costrizione”: (DIONE CASSIO; STORIA ROMANA; LXI; 33, 4).
Da notare che il termine usato , col suo macabro significato di “fare a pezzi”, richiama perfettamente il quadro sanguinario dello spettacolo, che già era stato descritto da Tacito, ma in modo più “morbido”.
Terminato lo spettacolo fu dato il “via” alla acque; ma si verificò subito un grosso inconveniente per cui quel momento solenne si tramutò in un evidente insuccesso.
Tacito scrive a tale proposito:
Sed perfecto spectaculo apertum aquarum iter. Incuria operis manifesta fuit, haud satis depressi ad lacus ima vel media. Eoque tempore interiecto altius effossi specus, et contrahendae rursum moltitudini gladiatorum spectaculum editur, inditis pontibus pedestrem ad pugnam”.
“Ma terminato lo spettacolo, fu aperto il passaggio delle acque. Risultò palese un difetto della costruzione, non sufficientemente abbassata rispetto alle parti più profonde o anche intermedie del lago. Perciò, trascorso del tempo, fu scavata più profondamente la galleria. E per far radunare di nuovo una moltitudine di gente, viene allestito uno spettacolo di gladiatori, su palchi innalzati per una battaglia di fanti”. (TACITO; ANNALES; XII; 57).
Lo scrittore latino, che maliziosamente insinua il sospetto dell’incuria da parte del responsabile dei lavori Narciso, purtroppo non è molto generoso di particolari, per cui non sappiamo esattamente di quale natura fosse “l’incidente” che rovinò l’inaugurazione solenne dell’emissario del Fucino.
Sicuramente deve essersi trattato di una cosa molto evidente, per cui possiamo subito escludere che il problema fosse da ricercare nella mancata “scomparsa” del lago, una volta aperte le saracinesche dell’incile.
Infatti, considerando la portata dell’emissario, la riduzione del livello delle acque del lago avrebbe potuto procedere alla “velocità” di circa 1 metro ogni 8 – 9 mesi a pieno regime di funzionamento.
Quindi nessuno poteva aspettarsi un’evidente abbassamento del livello del lago nel breve tempo della cerimonia di inaugurazione.
In quell’occasione ci si sarebbe dovuto aspettare solamente che l’acqua defluisse regolarmente dal collettore all’incile, da questi nella galleria sotterranea e da quest’ultima nel letto del Liri.
Se le cose fossero andate così, tutti sarebbero stati felici e Claudio sarebbe tornato a Roma orgoglioso della “sua opera”.
Invece le cose non andarono così; quindi dobbiamo supporre che “qualcosa” impedì alle acque del lago di percorrere il tragitto fino al Liri.
Questo “qualcosa” fu, molto probabilmente, un improvviso crollo nella galleria sotterranea che bloccò di fatto il defluire dell’acqua.
Che si trattasse di un evento improvviso ed imprevisto c’è da crederci, dal momento che non è pensabile che i romani, i quali prima delle inaugurazioni solenni collaudavano persino le strade, non avessero fatto delle prove tecniche di funzionamento dell’emissario nei giorni che precedettero l’arrivo dell’Imperatore.
Allora, aiutandoci un po’ con la fantasia, possiamo ricostruire ipoteticamente il momento del “taglio del nastro”.
Aperte le saracinesche e dato il via libera alle acque, queste attraversarono la gola e la vasca esagonale, si tuffarono spumeggiando nella vasca trapezoidale e s’infilarono veloci nella galleria sotterranea.
Era il momento culminante della festa: per Claudio era il coronamento della grande impresa, dopo undici lunghi anni di attesa e milioni di sesterzi spesi, per Narciso motivo di soddisfazione e di prestigio personale, per Agrippina un momento di rabbia, in quanto vedeva coronata dal successo l’opera portata avanti dall’odiato liberto Narciso.

Ma erano trascorsi appena pochi minuti, che l’acqua cominciò lentamente a salire di livello, poi raggiunse la volta della galleria, riempì a metà la vasca trapezoidale e continuava a salire oltre il piano della vasca esagonale.
Claudio e Narciso si guardarono sgomenti negli occhi: l’acqua non passava!
Per Claudio era la più grande delusione, per Narciso un terribile colpo della malasorte ed una profonda umiliazione davanti agli occhi beffardi dell’odiata Agrippina.
Dopo i primi attimi di smarrimento, Narciso ed i suoi tecnici diedero l’ordine di chiudere la saracinesca di accesso alla vasca esagonale e si dettero da fare per localizzare il guasto; e il guasto non poteva essere che lì, all’interno dell’emissario; e fu anche rapidamente localizzato attraverso l’ispezione dei vari pozzi e cunicoli di servizio: un crollo della galleria tra i pozzi 19 e 20.
Un rapido sopralluogo permise di costatare  che fortunatamente i danni non erano eccessivamente gravi, anzi erano riparabili in poco tempo; così l’Imperatore si lasciò convincere a restare ancora per qualche giorno ad Alba Fucens per ripetere, dopo qualche giorno, la cerimonia di inaugurazione.
Si dovettero tuttavia sgomberare con immane fatica cumuli di macerie e di fango, dopo aver vuotato l’emissario dell’acqua che era rimasta intrappolata dentro di esso; dopo si procedette alla ricostruzione del tratto di galleria franato, forse puntellando il tutto frettolosamente, per non ritardare ulteriormente la cerimonia d’inaugurazione.
Ma un tale lavoro richiese sicuramente almeno una decina di giorni.
Ed allora, dopo un insuccesso così clamoroso e con tutto quel brulicare di operai e di schiavi, fu facile per gli avversari di Narciso accusarlo di errori, di incuria e forse anche di frode , sospettando che avesse speso molto meno dei denari ricevuti da Claudio per l’impresa del Fucino.
E poi il trasporto all’esterno della galleria di tutto quel materiale di sgombero, dovette dare la falsa impressione, rintracciabile anche nelle parole di Tacito, di grandi lavori all’interno dell’emissario per abbassarne il livello (…altius effossi specus…).
Quindi Tacito, che non solo non fu testimone oculare degli avvenimenti, ma li descrisse circa 50 anni dopo, riporta probabilmente il racconto dei denigratori di Narciso quando afferma che “il livello della galleria fu portato più in basso perché era stato rilevato un evidente errore di costruzione”.
Il sottolivellamento  della galleria sotterranea era di fatto tecnicamente impossibile e non fu neanche mai tentato dai romani.
Eseguiti i lavori di riparazione, fu organizzata una nuova festa per la ripetizione della cerimonia dell’immissione delle acque del Fucino nella galleria; ma, data la ristrettezza  di tempo, le cose furono organizzate in modo meno sfarzoso.
E per richiamare di nuovo quanta più gente fosse possibile, fu organizzato uno spettacolo di combattimento fra gladiatori da svolgersi su dei ponti di legno sospesi sopra le acque del lago; insomma uno di quegli spettacoli tanto  in voga a Roma e che certamente avrebbe colpito la fantasia di chi non aveva mai avuto la possibilità di assistervi: c’erano dunque tutti gli elementi per richiamare di nuovo, a distanza di pochi giorni, una grande moltitudine di gente.
Inoltre gli ospiti di riguardo sarebbero stati allietati da un banchetto, degno della mensa imperiale, allestito proprio a ridosso delle strutture dell’incile.
Tacito ci fa il resoconto anche di questa “seconda” inaugurazione:
Quin et convivium effluvio lacus appositum magna formidine cunctos effecit, quia vis aquarum prorumpens proxima trahebat, convulsis ulterioribus aut fragore et sonitu exterritis. Simul Agrippina trepidatione principis usa ministrum operis Narcissum incusat cupidinis ac praedarum, nec ille reticet, impotentiam muliebrem nimiasque spes eius arguens”.
“Inoltre, un banchetto apparecchiato presso l’uscita del lago, riempì tutti di grande spavento perché la violenza delle acque, prorompendo, trascinava le cose vicine e travolgeva quelle appresso, mentre tutti erano terrorizzati per il fragore e per le grida. Allora Agrippina, approfittando dello spavento dell’Imperatore, accusa il direttore dei lavori Narciso di cupidigia e di ruberie; né lui resta  zitto, rinfacciandole la sua sfrenatezza femminile e le smodate ambizioni”. (TACITO; ANNALES; XII; 57).
Quindi, al termine dello spettacolo dei gladiatori, fu ridato via libera alle acque che di nuovo attraversarono la gola e la vasca esagonale, si precipitarono con un tonfo nella vasca trapezoidale ed imboccarono veloci la galleria sotterranea.
Erano tutti con il fiato sospeso: gli avversari di Narciso e la stessa Agrippina, con la speranza di vederlo definitivamente rovinato; Narciso, col cuore in gola, diviso tra la speranza di successo ed il terrore di un nuovo colpo mancino della malasorte.
Claudio era lì, tra  speranza e timore, con l’occhio fisso sulla corrente d’acqua che passava.
L’acqua continuava a correre veloce; era un buon segno!
Poi dopo circa un’ora, arrivò finalmente il segnale di fumo, da parte delle vedette posizionate nella valle del Liri, che confermava che le acque del Fucino si gettavano nel fiume.
Il tempo intercorso è stato ipotizzato considerando la velocità dell’acqua nella galleria romana, calcolata in 1,8 metri al secondo, e tenendo presente la lunghezza della galleria (5.650 metri); si ottengono così 52 minuti.
Vi fu sicuramente una ovazione generale della folla, degna di quelle che l’Imperatore era abituato a sentire al Circo Massimo.
Claudio era soddisfatto; Narciso sembrava rinato: era finalmente il meritato successo aspettato per undici lunghissimi anni.
Cominciò quindi il banchetto apparecchiato vicino al passaggio delle acque, nei pressi della vasca trapezoidale.
C’era forse in questa vicinanza del banchetto alla vasche dell’incile, ancora un misto di timore per qualche altra sgradita sorpresa ed il desiderio di vedere finalmente scorrere le acque nella galleria.
E le acque continuavano a scorrere veloci, fuori dal lago, dentro le viscere della montagna e quindi nel letto del Liri: era tutto perfetto!
Il banchetto doveva essere in pieno svolgimento, forse già volgeva al termine, quando si udì un boato tremendo, la terra tremò ed una enorme ondata d’acqua traboccò all’improvviso dalla vasca trapezoidale, scaraventando a terra tavole e commensali.
La scena è facilmente immaginabile: urla di spavento, tutti che fuggono disordinatamente temendo di essere risucchiati dall’ondata d’acqua; un vero disastro!
Lo stesso Imperatore ed il Principe Ereditario, forse tra i più vicini alla vasca, rischiarono di essere travolti dall’acqua.
Appena riavutisi dallo spavento, tutti si scagliarono contro Narciso; in questo si distinse l’Imperatrice che , approfittando dello stato di terrore di Claudio e del giovane Nerone, aggredì il direttore dei lavori accusandolo pubblicamente di frodi e ruberie , di incapacità e addirittura di attentato criminoso alla vita dell’Imperatore.
Narciso, comunque, riavutosi prontamente dallo stato di sconforto, le rispose per le rime con altrettanta virulenza, rinfacciandole le sue sfrenate ambizioni femminili.
Anche per quanto riguarda questo secondo incidente, Tacito non è molto esplicativo.
Tuttavia è molto realistica l’ipotesi di una seconda frana nella galleria, proprio nello stesso punto  che aveva subito delle riparazioni frettolose nei giorni precedenti, vale a dire nel tratto tra i pozzi 19 e 20.
C’è da supporre che le nuove murature, realizzate in fretta e non ancora consolidate, ma appoggiate forse su dei puntelli provvisori, abbiano retto bene per qualche ora all’impeto della corrente d’acqua; poi però ci sarà stato il cedimento di un primo puntello, e poi di altri in rapida successione, e quindi il crollo di tutto quel tratto di galleria con una valanga d’argilla ed altri detriti piombata all’improvviso sulla corrente d’acqua.

L’effetto deve essere stato terribile: la massa d’acqua, schiacciata di colpo da tutto quel peso e contenuta dentro il vano della galleria come dentro la canna di un cannone, fu costretta a rinculare violentemente, proruppe dalla bocca della galleria ed andò ad urtare contro la parete opposta della vasca trapezoidale, innalzando una enorme ondata che traboccò addosso ai commensali, con gli effetti che abbiamo visto poc’anzi.
Anche a Svetonio non sfuggì la conclusione tragicomica della seconda inaugurazione dell’emissario del Fucino:
“Convitatus est et super emissarium Fucini lacus ac paene summersus, cum emissa impetu aqua redundasset”.
“(Claudio) diede un banchetto anche in occasione dell’apertura dell’emissario del lago Fucino e per poco non restò sommerso, quando l’acqua, già mandata in galleria, traboccò fuori con violenza”. (SVETONIO; DE VITA DUODECIM CAESARUM; Claudius; 32).
A questo punto la Corte Imperiale tornò a Roma; in fin dei conti l’inaugurazione c’era stata in quanto l’acqua del Fucino era effettivamente scivolata nel Liri, anche se per breve tempo; inoltre non era il caso di  ripetere per la terza volta la cerimonia, ricorrendo magari a delle riparazioni provvisorie  della galleria.
Le riparazioni saranno state eseguite subito dopo la partenza dell’Imperatore, questa volta con cura e senza l’assillo della fretta: dovettero consistere nella creazione di quella deviazione ad angolo retto all’interno della galleria, tra i pozzi 19 e 20, che avrebbe allontanato il tracciato da una zona particolarmente franosa ed instabile, deviazione tuttora esistente.
Così Narciso avrà fatto arrivare a Claudio notizie rassicuranti dopo poco tempo.
E che, nonostante quei clamorosi insuccessi, i lavori continuarono e che la galleria fu messa in condizioni di funzionare regolarmente, ne abbiamo una conferma indiretta proprio da Svetonio, quando afferma che “l’emissario fu portato a termine” (canalem absolvit), anche se “con fatica” (aegre).
Se infatti Claudio avesse fallito, dopo tanti lavori, tante spese e tante aspettative deluse, Svetonio, già così critico nei suoi confronti, certamente non si sarebbe fatta sfuggire l’occasione per rimarcarlo apertamente.
Sicuramente, oltre alla riparazione della galleria sotterranea, furono portati a termine i lavori di costruzione del collettore.
Per l’inaugurazione infatti era stato approntato un canale collettore provvisorio, sostenuto da semplici travature di legno, in quanto la costruzione in muratura di un canale di 4 Km avrebbe comportato ulteriori ritardi, inconciliabili con la fretta di Claudio di vedere in funzione la “sua” opera.
I lavori continuarono dunque per almeno altri 2 anni, cioè almeno fino alla morte di Claudio (ottobre del 54 d.C.); infatti l’abbandono avvenne solo dopo, con Nerone, come attesta esplicitamente Plinio: “…destitutum successoris odio.).
La prosecuzione dei lavori, finché fu vivo Claudio, è confermata indirettamente anche dal fatto che Narciso, che nell’impresa del Fucino era ormai coinvolto fino al collo e che in essa si stava giocando la reputazione, rimase in auge fino alla morte del vecchio Imperatore, nonostante lo smacco subito durante le cerimonie d’inaugurazione e l’odio spietato che nutriva per lui Agrippina

SITUAZIONE DEI LAVORI ALLA MORTE DI CLAUDIO ( 54 d.C. )

Purtroppo sappiamo poco sui risultati concreti dell’opera di Claudio, dal momento che gli stessi storici antichi, così generosi nel riferire  notizie futili e mondane a proposito della inaugurazione dell’emissario, sono parimenti avari di particolari tecnici  e sugli effetti pratici ottenuti  sul lago dei Marsi.
Comunque, per avere una idea, anche se teorica, dell’effetto che avrebbe avuto sul Fucino il progetto realizzato dagli ingegneri romani, si può fare riferimento alla figura seguente.
Sappiamo che dopo l’inaugurazione, c’erano due tipi di lavori importanti da portare a termine:
1. Lo scavo del canale collettore e lo svuotamento del lago;
2. Tutte le opere di drenaggio e di bonifica dei terreni sottratti alle acque.
Abbiamo anche visto come il primo collegamento tra l’incile ed il lago, allestito per i collaudi e per l’inaugurazione solenne, dovette essere ovviamente provvisorio, realizzato mediante un semplice canale poco profondo, con una chiusa di manovra posta probabilmente all’inizio del canale dal lato del lago.
Invece il vero canale collettore previsto dal progetto era più profondo, più largo e più lungo.
Per costruirlo occorreva, quindi, sbancare e rimuovere, a forza di braccia, una enorme quantità di terra, per una profondità di una decina di metri al punto di raccordo con l’incile, con una certa larghezza al fondo ed una sufficiente scarpata agli argini.
Inoltre il lavoro non era eseguibile in un unico tempo; occorreva invece procedere necessariamente per fasi successive, per permettere lo scavo, l’abbassamento del collettore ed il suo progressivo avanzamento verso il bacino del lago, man mano che le acque si sarebbero abbassate ed arretrate dalla linea di costa iniziale.

Si trattava quindi di un lavoro piuttosto lungo, da realizzare con gradualità, reso ancora più difficoltoso dallo stato dei terreni attraversati, sicuramente inzuppati d’acqua.
Un tale lavoro avrebbe certamente richiesto qualche anno ancora; così il vecchio Imperatore sarà morto con la certezza del procedere regolare dei lavori, ma senza la soddisfazione di sapere portata a termine la sua più grande impresa.
Alla morte di Claudio ( ottobre dell’anno 54 d.C.), probabilmente il collettore era stato costruito già tutto, o almeno prossimo alle condizioni definitive previste dal progetto, tale comunque da consentire lo scolo delle acque.
Come si può vedere dalla figura, il progetto di Claudio, una volta portato a termine in tutte le sue funzioni, avrebbe consentito prosciugamento di circa 50 Km2 di fascia costiera ed avrebbe conservato un “lago residuo”  con una superficie di almeno 90 Km2, vale a dire all’incirca  i 2/3 della superficie  originaria del lago che, come abbiamo visto più volte, era di circa 140 Km2.
Ora possiamo tentare di calcolare di quanto si fosse abbassato realmente il livello delle acque alla morte dell’Imperatore visto che subito dopo, con l’ascesa al trono di Nerone, l’emissario del Fucino venne abbandonato al suo destino.
Sappiamo infatti che la portata della galleria romana era di circa 7 m3/sec.; era quindi capace di scaricare dal lago 600.000 m3 di acqua  al giorno.
Sappiamo anche che in quell’epoca la superficie del lago si aggirava intorno ai 140 Km2, pari cioè a 140.000.000 m3 di acqua per ogni metro di profondità del lago.
Per cui possiamo ragionevolmente calcolare che per far scendere di un solo metro il livello del lago occorrevano quasi 8 mesi, naturalmente con l’emissario in funzione al massimo regime.
Invece, verosimilmente, nei primi tempi l’emissario sarà stato messo in funzione a regime ridotto per le necessarie verifiche e correzioni, quindi raddoppiando o addirittura triplicando i tempi per lo scarico delle acque nel Liri.
Allora supponendo che all’epoca della morte di Claudio il canale collettore fosse già stato terminato e messo in funzione, ai fini dello svuotamento del lago avrebbe avuto effetti pratici molto limitati, con una discesa del livello dell’acqua di circa mezzo metro o poco di più, ed in ogni caso  al massimo di un metro all’anno.
Purtroppo però con la morte di Claudio ci fu un tale rovesciamento di posizioni a corte, che di riflesso se ne ebbero subito le inevitabili conseguenze anche sulla stessa sopravvivenza dell’emissario del Fucino.
La vita privata di Claudio fu infatti semplicemente disastrosa; dopo la morte della terza moglie, la famigerata Messalina, a corte si scatenò una vera e propria “gara” fra i liberti imperiali per procurare al volubile Imperatore una nuova moglie, che li avrebbe così sostenuti nei loro intrighi.
I liberti interessati erano tre, Callisto, Pallante e Narciso; ed ognuno parteggiava per una donna diversa.
Claudio scelse Agrippina, discendente in linea diretta da Augusto e sorella di Caligola, sostenuta da Pallante.
Ambiziosa, astuta e senza scrupoli, puntava soprattutto ad assicurare la successione al trono per il proprio figlio Nerone, nato da un precedente matrimonio ed all’epoca ancora un ragazzo, per prendere poi in mano le redini dello Stato, quando il figlio fosse divenuto Imperatore.
Al momento della scelta, Agrippina era stata avversata apertamente da Narciso, il sovrintendente dei lavori del Fucino, e giurò di vendicarsi del liberto, sfruttando ogni mezzo ed ogni occasione.
Forse stanca della lunga attesa, Agrippina “affrettò” la morte di Claudio con un piatto di funghi velenosi e ne ritardò l’annuncio della morte per tre giorni con falsi bollettini medici.
Poi, quando tutto fu pronto, il 13 ottobre del 54 d.C., il suo giovane figlio Nerone (54 – 68 d.C.) fu presentato al corpo di guardia del palazzo ed al campo dei pretoriani e fu acclamato Imperatore.
Ormai la terribile vedova aveva il via libera per le sue ambizioni e per le sue vendette.
Una delle sue prime vittime, come era d’altronde prevedibile, fu appunto l’odiato Narciso, che fino ad allora era rimasto in auge grazie alla protezione personale di Claudio al quale era stato sempre fedele.
Come prima mossa contro di lui, indusse Nerone a revocargli la direzione dell’impresa del Fucino ed a far sospendere a tempo indeterminato il proseguimento dei lavori.
Pensiamo che Nerone lo abbia fatto volentieri e, magari, anche con un certo compiacimento perché, oltre al rancore verso il defunto patrigno, odiava  anche il Fucino, memore dello spavento subito appena due anni prima, quando aveva rischiato di annegare durante gli incidenti avvenuti durante la seconda cerimonia di inaugurazione dell’emissario.
Successivamente Agrippina completò la sua vendetta costringendo Narciso al suicidio.
Il blocco dei lavori va dunque inserito nel breve arco di tempo che va dall’ascesa al trono di Nerone alla morte di Narciso; e passò davvero poco tempo se Dione Cassio riferisce che “alla morte di Claudio seguì subito dopo quella di Narciso”.
Cosa accadde col blocco dei lavori è facilmente immaginabile.
Se l’impresa di Claudio aveva suscitato nel territorio dei marsi tutto un fermento di nuove attività e di traffici di ogni genere, apportando alla modesta economia locale un periodo di relativo benessere, l’interruzione dei lavori fece piombare di colpo tutta la zona in una nuova crisi economica: chiusura dei cantieri, licenziamento della manodopera, cessazione brusca di ogni attività legata direttamente alla costruzione dell’emissario e di tutte quelle attività collaterali che l’impresa aveva attivate.
Per i Marsi fu una tragedia!
Oltre al crollo dei sogni di tranquillità per quanto riguardava il regime del lago, essi furono le prime vittime del nuovo ed inetto Imperatore il quale, con l’abbandono dei lavori, dimostrò un ottuso disprezzo verso l’alto valore civile dell’opera di Claudio e verso le enormi spese sostenute fino a quel punto dall’erario di Roma.
Ma quale sarà stata, dopo la morte di Claudio, la sorte dell’emissario del Fucino?
Abbiamo detto che tra la fine del 54 d.C., o al massimo agli inizi dell’anno successivo, Nerone dispose l’abbandono dell’impresa; tuttavia è ragionevole supporre che, anche senza manutenzione, il canale collettore e l’emissario abbiano continuato a funzionare per un certo tempo, 2 o 3 anni o forse anche di più.
Quindi possiamo pensare che in quel periodo di tempo il lago si sia abbassato forse di un paio di metri, cioè così poco da lasciare, di fatto, la situazione immutata; in sintonia con Dione Cassio quando afferma: “furono eseguite le spese, ma senza nessun risultato”.
Infatti, abbandonato ormai a sé stesso e senza manutenzione, nel giro di pochi mesi, fatalmente, si saranno ostruiti prima il canale collettore e poi senz’altro anche la galleria sotterranea, facendo così cessare del tutto lo scolo delle acque.
In queste condizioni il lago, nel giro di pochi anni, tornò alle condizioni di sempre con l’inondazione dei terreni circostanti e la distruzione di tutti quei villaggi ( vici ) che i Marsi, fiduciosi, avevano stabilito sulle sue rive.
In tutto questo, una nota di biasimo deve essere fatta anche per i Marsi i quali non seppero o non vollero organizzarsi per assicurare all’emissario una manutenzione “privata” a loro spese, visto che il finanziamento “statale” dell’impresa era ormai irrimediabilmente decaduto.